La prima settima di agosto fu
calda, e non per la temperatura. Renata tolta la benda dagli occhi e le
conseguenti inibizioni, chiedeva quasi ogni giorno a Graziella di combinarle un
nuovo incontro, proponendomi anche “sveltine” estemporanee, al posto d’incontri
come il primo. Graziella mi riferiva, rideva del fatto, ma non rinunciava alla
sua razione notturna di attenzioni sessuali. Dopo aver assistito con estremo
piacere alla mia mattinata a casa sua con Renata, era ancora più eccitabile: il
suo pensiero fisso però rimaneva Milano, il suo sogno di perversione. Ora
voleva a tutti i costi vivere
un’avventura in un cinema a luce rossa, l’idea l’eccitava e quasi ogni sera mi
chiedeva di anticiparle il racconto di possibili realizzazioni. Era, se ne
fosse stato necessario, uno stimolo a fare poi del sesso nel modo più
travolgente. Seguendo il gioco che Renata proponeva e Graziella mi riferiva, mi
ritrovai una mattina alle sette a incontrarla per una “sveltina” in auto (la
sua) mentre ufficialmente stava andando a Bergamo a fare rifornimenti per il
locale. Un’altra volta Graziella mi fece scendere nella cantina del Circolo con
una scusa e trovai Renata ad attendermi: dopo l’amplesso in piedi, uscì prima
lei dalla botola e andò fuori in giardino, qualche minuto dopo emersi io, Viviana
la figlia maggiore di Renata aveva seguito le due uscite e probabilmente capito
tutto. Il giorno di San Lorenzo avrebbe compiuto diciotto anni e speravo nel
suo silenzio. Ne parlai comunque con Graziella, la quale mi rassicurò un po’,
dicendo che anche quando Renata si trovava con suo figlio Luca, forse Viviana
aveva capito qualcosa, ma era stata zitta, forse perché quasi ufficialmente
sapeva che suo padre aveva un’amante. Comunque da quel giorno la ragazza mi
guardò spesso negli occhi con un’aria che non mi piaceva. Il dieci agosto per
festeggiare il compleanno della ragazza, alla Pro Loco organizzarono alla sera
una gran festa reggae, musica a palla, balli, birre, dolci, tutti i ragazzi e
ragazze del paese e villeggianti si scatenarono. E non solo i giovanissimi. Io
mi buttai nella mischia e beccai Viviana al campo di bocce che si faceva un
cannone degno di Bob Marley, non fece una piega se non passarmelo. Chissà se la
mammina oltre ai suoi segreti conosceva anche quelli della figlia. Ci
ritrovammo vicini sulla specie di pista da ballo a scatenarci nelle danze.
Quando arrivò un pezzo lento di Battisti, chiesi a Viviana l’onore di ballare
con la festeggiata: eravamo abbastanza fuori dalla visuale sia di Renata sia di
Graziella e la ragazzina m’incollò il suo bacino sfregandolo in maniera
inequivocabile. Risposi stringendola sulla schiena e facendole sentire
l’erezione che mi aveva provocato. Non si meravigliò per nulla, anzi avvicinò
la sua bocca al mio orecchio e disse: “ così ti scopi la mammina?”
Fortunatamente la musica lenta finì e riuscii ad allontanarmi senza dover
rispondere. La sera era nuvolosa e la programmata, abituale gita sulla cima
della collina al buio per vedere cadere le stelle, annullata. Il giorno dopo mi
sentivo controllato da Viviana ed evitai in ogni modo qualsiasi occasione di
scherzare sia con Renata sia con Graziella. Ero sicuro che la ragazzina avesse
anche subodorato la mia storia con l’amica di sua madre. Due giorni dopo, cielo
sereno, alle otto già si vedevano cadere le stelle. Renata e Graziella dovevano
rimanere al locale, Lidia non c’era: alle nove al Circolo erano rimasti solo
gli accaniti giocatori di bocce di carte e chi proprio non aveva desideri da esprimere.
Un desiderio invece l’aveva Renata. E me lo fece recapitare da Graziella, che
mentre ero a un tavolino, mi sussurrò: ” senza
dare nell’occhio entra in cucina …”. Mi piaceva Graziella, per la sua
disponibilità all’intrigo e alla assoluta mancanza di gelosia nei confronti sia
miei sia di Renata. Approfittando di un attimo senza nessuno al bancone del bar
entro in cucina e Renata nascosta dietro i frigoriferi, mi accoglie buttandomi
le braccia al collo e infilandomi la lingua in bocca. Senza dubbio avrebbe
voluto fare sesso lì, in piedi con Graziella che faceva da palo. Dopo cinque
minuti di contorsioni, si accontenta di una mano infilata nelle mutandine e
delle mie manovre che la soddisfano comunque. Per ringraziarmi di quelle
attenzioni manuali, s’inchina e slacciati i pantaloni con furia, tenta di darmi
un piacere lampo con la bocca. La mia erezione è naturale come la decisione con
cui la faccio smettere di colpo e rimetto al suo posto con difficoltà il mio
povero sesso umido, insoddisfatto e strapazzato violentemente. Esco dalla
cucina poco prima delle dieci: almeno una cinquantina di persone s’incamminarono
verso i prati alti, al buio portandosi birre, vino e coperte. Io mi accodai.
L’abitudine era di passare quasi tutta la notte sdraiati a guardare il cielo.
Viviana era nel gruppo, staccata però dalla sorellina e dai suoi amici, saliva
da sola, fumando non so cosa. Ero lontano da lei e l’osservavo: veramente un
corpo stupendo e un viso altrettanto bello, in effetti, da due genitori belli
il risultato era quasi obbligatorio. Indossava una tuta nera, scarpe da ginnastica, una felpa leggera, al collo
una kefiah bianca e nera. Nera come i lunghi capelli lisci che
svolazzavano. Abitualmente non ho
eccessivo interesse per la dimensione dei seni di una donna, anzi li preferisco
piccoli e sodi, ma Viviana camminando, mostrava sotto la t shirt, un seno non
piccolo, ma sicuramente molto, molto sodo. Salendo tenevo d’occhio Viviana e
lei faceva lo stesso con me, ero curiosissimo di vedere dove si piazzava. Arrivati
in cima al Prato Pelato la comitiva si sparpaglio sull’enorme spiazzo, le
coppiette cercarono posticini romantici, i gruppi di ragazzini e ragazzine
spensero le pile e si sdraiarono dell’erba appena tagliata, niente luna, in
breve tutti immersi nel buio rischiarato solo a tratti da stelle che cadevano
fra un ohhhh generale. Viviana indugiava su dove piazzarsi, io su dove
immaginavo si mettesse lei. Dopo qualche minuto decisi e mi allontanai dal
grosso del gruppo e mi sistemai al limite del pratone vicino ad alcuni cespugli
di more. Fissavo il cielo pieno di stelle quando percepii un’ombra dietro di
me. Viviana in piedi mi guardava. Disse: “ ne
hai già viste cadere?” risposi “sì ma
non ho fatto in tempo a esprimere un desiderio” “ ora ci riprovo” e lei
dopo un attimo : “ cosa hai desiderato?”
io :” te lo dico, anche se non si
dovrebbe, perché magari è più facile che si avveri” rise. Io continuai :” mi piacerebbe che ti togliessi quel bel
pakistano e lo mettessi sul prato. Così ci potremmo sdraiare sopra” Se lo
tolse dal collo e lo allargò sul prato. Ci sdraiammo vicini. Non lasciò passare
più di un minuto e disse:” scopa meglio
mia madre o zia Graziella?” Ormai era inutile giocare a nascondersi e
risposi:” sono diverse, Graziella è più
cerebrale e più porca, tua madre è molto sensuale, ma credo meno trasgressiva”
per non perdonarle la piccola cattiveria della domanda aggiunsi : ” e tu come scopi?” Apparentemente dal
silenzio che seguì, le avevo restituito l’impertinenza. Poi riprese:” che ne so! ho pochissima esperienza, solo
con due ragazzi della mia età e sinceramente non ho mai raggiunto un orgasmo. Piacevole,
sì ma nulla di più” Non accennai neanche una risposta, mi girai e la
baciai, a lungo: rispondeva con passione e il suo corpo s’intrecciava al mio
come una contorsionista. Ci sdraiammo di nuovo a guardare il cielo e la mia
mano superò l’elastico della tuta, non aveva mutandine, ma il suo sesso non era
per nulla bagnato, come invece mi sarei aspettato. Un inizio di carezza intima
non dava risultati, ripresi a baciarla sulla bocca, le alzai la maglietta e le
succhiai i capezzoli. Il seno era da fotografare, stupendo. Come se facesse
parte di un copione mi slacciò i jeans e me lo prese in bocca. L’unico pensiero che ebbi, fu che
ero ancora bagnato della bocca di sua madre. La fermai, tirandole indietro la testa per i
capelli. Mi guardò stupita : ” perché non
vuoi?” le accarezzai il viso e le risposi :” non ora, aspetta quando avrai voglia, non devi farlo perché sai che
agli uomini piace, devi desiderarlo per il tuo piacere, non solo per il mio.”
Lentamente la spogliai e smisi di guardare il cielo infilando la testa fra le
sue gambe. Il tempo sembrava essersi fermato, il suo sapore era dolcissimo e
lentamente iniziò a bagnarsi di suo e sentii crescere il suo clitoride sulla
mia lingua. Non so quanto fu necessario e piacevole leccarla prima di sentirla
ansimare leggermente, poi sempre più forte: era tesissima, le gambe rigide il
bacino inarcato, capiva che stava per
succedere qualcosa che non conosceva e aveva paura di perderlo prima di
provarlo. Venne a lungo, nella mia bocca, tremando, rilassandosi per poi
sussultare ancora, singhiozzare, abbracciarmi. Fui quasi subito dentro di lei,
e fu facile e bello per entrambi. Rimasi fermo, in fondo a lei, senza il minimo
movimento, anche se morivo dalla voglia di muovermi. Mi rotolai sulla schiena
senza uscire dal suo corpo e solo quando fu sopra di me, accennai una rotazione
col bacino. Fu come dare il via ad gioco stupendo, aveva capito e imparato
tutto in un attimo lasciando al suo corpo il modo di dimostrarlo. Si muoveva
come sua madre, quasi con consumata abilità, ma non riusciva assolutamente a
raggiungere l’orgasmo ed era quasi al punto di arrendersi pur continuando a
sussurrarmi: ” si mi piace, ancora, ancora”.
Era una sofferenza per entrambi, ma mi bastò prenderle una mano e portare
le sue dita sul clitoride perché capisse subito come sommare le due
stimolazioni. L’orgasmo le partì dalla masturbazione e riuscì a continuarlo
roteando il bacino sul mio sesso. Non so come riuscii a non venire: forse fu
solo per non distrarmi ed interrompere lo spettacolo del suo piacere che mi
affascinava. Alla fine sudatissima e profumata di erba capì che ora il mio
sesso poteva desiderare la sua bocca e non la tolse fino a dopo averne
assaporato anche l’ultima goccia. Guardando assieme cadere le stelle, capii che
mi ero cacciato nell’ennesimo guaio.