L'unica gratificazione per chi scrive un blog è avere lettori che lo seguono inviando commenti e cliccano su UNISCITI A QUESTO SITO per ricevere gli avvisi dei nuovi post.

venerdì 9 aprile 2010




Mariagiulia

La relazione con Letizia mi aveva fatto incontrare quasi tutti i suoi amici ed amiche, qualcuno simpatico, altri strani. Fra le amiche che frequentava più assiduamente alcune erano risalenti al liceo o all’università, Mariagiulia era una di queste. Cenavamo spesso da lei in una bella casa del centro. Era sposata con Matteo un bonaccione insignificante che non capivo come avesse scelto, lei psicologa affermata, rampolla di una ricca di medici, lui impiegatuccio in una ditta di trasporti. Dopo le prime conversazioni a tavola fu chiaro chi portasse i pantaloni in casa, e Mariagiulia scherzando buttava lì spesso che voleva trovarsi un amante perchè Matteo non la soddisfaceva più. Lui stava zitto come un cagnolino e sbevazzava a più non posso. Chiesi a Letizia notizie più personali e venni a sapere che dalla nascita del figlio, Matteo dormiva in salotto e non avevano più rapporti intimi, mi suonò strano anche considerando che lei era decisamente appetibile. Capelli neri corti, occhi saettanti, bel corpo da salutista e frequentatrice di palestre e massaggiatrici, un tocco di sfacciataggine nel parlare e nel porsi, come nel vezzo di sedersi sul divano di casa sua dopo aver tolto le scarpe e ripiegato le gambe sotto il sedere, con la consueta esibizione di autoreggenti e mutandine nere, durante l’operazione. Nelle fantasie erotiche che ci scambiavamo io e Letizia rientrava spesso il gioco di chiederci se avremmo fatto sesso con questo o quello dei nostri amici. Fui sincero, non dovette neanche chiedermelo, le dissi chiaramente che mi sarei fatto volentieri Mariagiulia. Rise, mi disse che aveva raccontato all’amica dei nostri giochi e delle mie esperienze, ma fui certo che mi nascose qualcosa. Quando andammo nuovamente a cena da lei per la festa di compleanno, la casa era vivacizzata dalla presenza di parecchie coppie, ci aprì con un bicchiere in mano e mi baciò in un modo strano. La serata fu divertente, tutti allegri per il vino e le canne. Ero solo in cucina a prendermi un tramezzino mi raggiunse Mariagiulia, e con uno sguardo estremamente eccitante mi disse “ non ho mai visto Letizia così in forma, " la tua cura le fa bene” e sparì. Rientrati a casa dopo un interrogatorio serrato Letizia mi raccontò. Mariagiulia sapendo dei nostri giochi le aveva confessato di aver avuto un anno prima una esperienza che l’aveva sconvolta piacevolmente. Il suo dentista, amico di famiglia, durante una seduta nel suo studio, dopo una richiesta esplicita che l’aveva scioccata e lasciata senza parole, l’aveva presa piuttosto sbrigativamente, quasi con violenza. La sua reazione era stata di sottomissione totale e quando lui la frustò con dei rami di fiori che aveva sulla scrivania, le provocò un orgasmo che non aveva mai provato in vita sua. Quindi volle rivedere il suo violento amante ripetendo l’esperimento con un trattamento ancor più specificatamente sadomaso, correlato di manette, frustini, cera calda, che il dottore ben sapeva usare. Il risultato fu ancor più appagante della prima volta facendole scoprire un mondo al quale apparteneva senza saperlo. La relazione con l’amico dentista venne bruscamente interrotta dalla moglie che aveva sospettato la tresca e costretto il marito a desistere e a dedicare solo a lei certe premure. Mi venne da ridere perché la professione di Mariagiulia era appunto assistere e recuperare con terapia analitica donne che erano state oggetto di maltrattamenti, abusi, stupri. Letizia mi disse però che quando aveva raccontato alla amica delle nostre divagazioni sessuali le aveva suscitato il ricordo di quei piaceri particolari e ora da mesi era combattuta dalla voglia di riprovare quelle esperienze, ma non poteva più cercare il suo iniziatore. Praticamente Letizia mi aveva messo in bocca la domanda che non esitai a farle : “ se vuole, posso aiutarla io a risolvere il problema !” Rise, rispondendomi solo : “ lo immaginavo“. Proposi a Letizia di partecipare o almeno assistere l’amica nel trattamento, ma si rifiutò con la scusa che l’amicizia e la confidenza di vecchia data avrebbe impedito a entrambe un coinvolgimento emotivo e quasi per farmi dispetto aggiunse : “ e poi chi ti dice che tu gli vai bene ! “ Considerai chiuso il discorso perché certamente non avrei potuto presentarmi io da Mariagiulia e proporle un incontro, quando ci incontrammo per le cene consuete o con gli amici comuni, spesso i nostri sguardi si incrociavano interrogativamente e gli abbracci e baci di saluti si fecero più inquietanti.
Una sera Leti mi disse che l’amica sarebbe venuta a cena da sola, perché il marito avrebbe portato al circo il figlio e lei non ne aveva voglia. Non mi stupii e non pensai assolutamente che ci fosse qualche trama oscura, perché non era la prima volta che capitava. La cena frugale e informale terminò velocemente e Mariagiulia chiese di potersi ritirare in camera da letto per stendersi accusando mal di testa, rimasero di là da sole qualche minuto, poi Leti si ricordò che quella notte dovevano lavare le strade e disse che scendeva a spostare l’auto. Trascorse troppo tempo, ma pensai che non trovasse parcheggio, suonò il cellulare per un SMS : “ vai in camera, io vado a vedere un film e torno fra 2 ore”. Rimasi senza fiato, avevano organizzato tutto in segreto e preparata questa gradita sorpresa, grandi donne, grandi amiche. Sicuramente Mariagiulia sentendo la chiamata ebbe la conferma che ora sapevo e mi aspettava. Accesi una cannetta, un personalino leggero giusto per riflettere sulla situazione e far innervosire Mariagiulia aspettando gli eventi. Terminata la fumatina andai in bagno per una indispensabile doccia ristoratrice. La porta della camera era socchiusa e una luce strana tremolava all’interno, entrai e lo spettacolo di affascinò incredibilmente: candele sparse per la camera diffondevano una luce calda e profumata, sul letto in ordine meticoloso erano sistemati gli oggetti che io e Letizia usavamo per i nostri giochi. Due vibratori, un cuneo anale, creme lubrificanti, pinzette, mollette, catenelle, corde e due fruste artigianali, calibrate per provocare con le strisce di cuoio solo un dolore piacevole e graduabile facilmente dalla violenza dell’uso.Mariagiulia era seduta a cavalcioni con le gambe spalancate verso la spalliera su di una sedia in ferro battuto, nuda con reggicalze e calze color carne, una mascherina sugli occhi e le mani legate dietro la schiena.Letizia era stata incredibile, conosceva i miei gusti e aveva preparato tutto come sapeva bene che avrei gradito. Lei aspettava in quella posizione ormai da quasi mezz’ora, avrei voluto essere dentro di lei per sapere cosa provasse in quella disponibile attesa. Mi fermai davanti a lei in piedi e lei sentì nettamente il rumore della mia lampo che scendeva, le strinsi le guance premendo sui denti e costringendola ad aprire la bocca e le infilai il mio sesso non completamente eretto. Afferrandola per i capelli le mossi la testa fino a raggiungere la completa erezione, mi tolsi e le toccai fra le gambe, era fradicia, le dissi di alzarsi e l’accompagnai verso il letto dove la feci salire inginocchiandosi. La lasciai così per qualche minuto mentre le spalmavo della crema sull’ano, poi senza esitazione le infilai un corto cono di lattice dalla base piuttosto larga e dolorosa che le provocò un gemito, soffocato dai sussulti che emise appena la frusta si abbattè sulle sue natiche. Le toccai il sesso e mi disse : “ più forte ti prego”. Mi lasciai andare ad una foga che non credevo di avere, fino a che non vidi la sua pelle diventare viola. Godeva e mugolava di piacere, la penetrai con violenza e venne mentre le tiravo i capelli e le davo affondi che mi facevano indolenzire il pene ed impedire ogni possibilità di venire. Cadde sdraiata sul letto in preda a scariche nervose che la facevano tremare a scatti. Ero straeccitato, le slegai i polsi, le tolsi il cono dall’ano e la feci sdraiare sulla schiena. La cera calda di una candela che le cadde sul ventre le provocò il dolore che volevo senza danneggiarle la pelle, le gocce si susseguirono ai suoi gemiti fino a che le introdussi nel sesso il fallo di lattice e accompagnai la sua mano a gestirlo. L’eccitazione e la canna mi stavano provocando una congestione dolorosissima ai genitali e alla prostata, mi masturbavo davanti al suo viso cercando un orgasmo irraggiungibile, allora le sollevai le gambe mettendole sulle mie spalle e la penetrai dietro con estrema facilità, dopo la dilatazione del cono che aveva accolto. Lei si masturbava col fallo e godeva, io mi muovevo dentro di lei cercando un piacere lontano e regalando a lei orgasmi continui, mi salvò una sua richiesta : “ fermati ti prego devo andare in bagno”. La trascinai in bagno e mi sedetti sul bidè, la presi e la feci sedere infilandomi nel suo sesso appena in tempo per sentire scrosciare un flusso caldo che magicamente provocò come risposta una scarica di sperma che si mischiò al suo liquido che scendeva ora abbondantemente. Letizia ci trovò in salotto a fumare un’altra canna, con gli occhi lucidi e le guance rosse. Mariagiulia uscendo baciò su una guancia prima Leti poi me e disse solo “ grazie della bella serata”. Non dormimmo fino all’alba perché mentre si masturbava dovetti raccontarle due volte ogni particolare della serata.





La barista

Di sicuro una spontanea volgarità e sfrontatezza erano per lei una dote. Il bar era in fianco all’ufficio che avevo affittato e ricavato in un negozio, per una nuova attività che svolgevo da solo. Passando l’intera giornata li le tappe quotidiane al bar erano frequenti. Per evitare la ressa del pranzo ero abituato a farmi un panino verso le 14.30, quando ormai rimanevano solo il titolare, la moglie e una ragazza che abitava nel palazzo ed aiutava in quell’orario. Regolarmente la moglie prendeva in giro il marito per la sua scarsa virilità e le ridotte dimensioni dell’attributo e diceva che voleva trovarsi un amante che le facesse recuperare il tempo perso. Queste battute dette con un marcato accento piacentino contrastavano con il viso fine e gli occhi azzurri della giovanissima signora Chiara, già madre di due figli, con un corpo, sicuramente non magro, ma decisamente appetibile e generosamente mostrato con abbigliamenti di gusto discutibile. Il marito effettivamente non sembrava il massimo della prestanza fisica e non era assolutamente reattivo alle battute della moglie. Giovane, con il viso da vecchio, magro, smunto, sempre sudaticcio capelli rasati a zero, decisamente non era attraente. Quei discorsi sul sesso e la sua insoddisfazione che uscivano sempre quando ero presente solo io, unite ad un rimarcare regolarmente verso le 15, “ Beh, io ora vado a prendere l’autobus e vado a casa “ mi fecero pensare che volesse lanciarmi un palese invito. Un giorno saltando il solito panino l’attesi alla fermata dell’autobus dietro l’angolo e le offrii un passaggio. Salì come se ci fossimo dati un appuntamento e dopo qualche minuto di silenzio disse ridendo : “però ce ne ha messo a capirla”. Rimasi come un cretino, ma mi ripresi subito e accostai l’auto ad marciapiede dietro l’Ospedale di Niguarda. La sua reazione fu immediata: “ ora no, alle quattro devo andare a prendere i bambini all’asilo”. Non mi lasciò neanche il tempo di dire una parola che continuò : “ domattina alle otto porto i bambini all’asilo, ci vediamo alle otto e un quarto alla fermata del Centro Commerciale di Cinisello.” Intraprendente la barista. Il marito ogni giorno apriva il bar alle sette e la moglie prima delle undici non arrivava mai. La mattina dopo davo per scontato di poter verificare quanto fosse vera l’insoddisfazione della barista, ma all’appuntamento non venne. E non andò neanche al bar. Il retro del mio ufficio e del bar davano su un microscopico cortile che portava alle cantine e alle scale di servizio, spesso d’estate lasciavamo aperte quelle porte per far circolare l’aria. Chiara non era mai entrata nel mio ufficio, così quando la mattina successiva avendola vista al bar le telefonai chiedendole di portarmi un caffè, passando pure dal retro, capì immediatamente che volevo vederla da solo. Rispose : “si, certo, due caffè, un cappuccio, un decaffeinato e tre cornetti ”. Decisamente furba. Il mio ufficio era su due livelli, sotto un locale dove ricevevo i clienti, una scrivania, poltroncine, scaffali e le solite cose di un ufficio. Sopra collegato con una scala a chiocciola un locale più piccolo, con il mio vero ufficio, il computer, la mia scrivania, l’impianto stereo, la Tv e un piccolo divano. Entrò col vassoio e le “ sue” ordinazioni, la stavo aspettando sotto e mi disse subito che il giorno prima la bambina più piccola aveva la febbre e lei era rimasta a casa. Aveva posato il vassoio sulla scrivania, la presi per una mano, la tirai verso di me e la baciai. Il suo bacino si piantò contro il mio sesso facendolo indurire e come si accorse di avermi eccitato, lo toccò con una mano accertandosi della consistenza e uscì velocemente dall’ufficio. Non si era fermata più di tre minuti. Alla una telefonai al bar e rispose lei, le dissi che mi stavo masturbando pensando alla sua bocca e che l’aspettavo nel retro. Dopo pochi minuti entrò e trovò il mio sesso già pronto, si abbassò, lo accolse nella sua bocca e masturbandolo contemporaneamente mi fece venire. Non si era fermata più di tre minuti. I successivi incontri, di mattina, furono decisamente un po’ più lunghi e soddisfacenti anche per lei: dovetti riconoscere che in un letto la sua volgarità si tramutava in piacevole passionalità. Non rinunciò però a portarmi ogni tanto qualche caffè, spiegandomi che si eccitava anche solo all’idea di entrare e trovarmi pronto per lei.


La Fisioterapista

La compressione di un disco cervicale mi aveva fatto perdere parte della sensibilità del braccio destro. Un amico neurochirurgo ritenendo prematuro un intervento mi consigliò una serie di sedute di fisioterapia, essendo il disturbo probabilmente provocato da un errore di postura che mi trascinavo da tempo. Mi consigliò anche uno studio specializzato in Rieducazione Posturale. Telefonai per chiedere un appuntamento ed una voce maschile me lo fissò la settimana seguente. Il giorno previsto mi presentai puntualmente, ma attesi venti minuti perché la fisioterapista era imbottigliata nel traffico: Elena, così si presentò, non aveva bisogno di scusarsi l’avrei attesa anche più a lungo. Era bella, molto bella, una trentina d’anni, bionda con la coda di cavallo ed un fisico che sebbene coperto da jeans bianchi aderenti, si poteva definire perfetto, portava la fede. Comunque si scusò del ritardo mi fece entrare nello studio, dove c’era solo un lettino da massaggi, una spalliera, alcune pedane, due bilance pesa persone ed il diploma rilasciatole dall’università. Sparì per qualche minuto, riapparve con addosso un camice bianco e visibilmente sotto non aveva altro che la biancheria intima, erano i primi di luglio e la finestra era chiusa. Mi fece le domande di rito per la scheda personale, esaminò le radiografie e le TAC, mi disse che per ottenere dei risultati sarebbero state necessarie almeno una decina di sedute, che il costo era di cento euro l’una, poi aggiunse semplicemente: si spogli. Rimanere in mutande davanti ad una bella ragazza, mette in imbarazzo se ti da del lei ed io mi sentii a disagio. Era molto decisa e sicuramente esperta, mi pesò stando in piedi su due bilance e sentenziò che caricavo molto di più da un lato, aggiungendo che il suo lavoro sarebbe stato di riequilibrarmi e rinforzarmi la parte più debole. Avrei dovuto anche eseguire degli esercizi a casa, ogni giorno. Iniziò la seduta, dopo aver chiuso a chiave la porta, con movimenti di estensione e miglioramento della respirazione. Sdraiato sul lettino con i piedi sulla parete, mi spiegava come respirare, allungarmi e rilassare i muscoli del collo, mi premeva sul petto con le mani e più volte sentii il calore del suo corpo appoggiarsi alle mani che avevo disteso sui fianchi. La seduta durò un’ora, mi chiese se volevo la fattura e mi fissò l’appuntamento per la prossima terapia, dandomi anche i compiti a casa. Per l’intera settimana non feci che fantasticare su come riuscire a scoparla. Le sedute successive non mi aiutarono a trovare una risposta, ma migliorarono molto la mia situazione fisica e riacquistai perfettamente l’uso della mano destra. La terapia terminava sempre con un trazione leggera che Elena faceva per distendermi i muscoli del collo, l’operazione durava una decina di minuti durante i quali si metteva dietro di me, steso sul lettino e mi massaggiava dalle spalle alla nuca tirandomi delicatamente, la mia testa appoggiava spesso sul suo ventre. Alla quinta seduta le dissi se poteva darmi del tu, perché mi faceva sentire vecchio quel lei che usava. Rise e mi disse che andava bene. Migliorando la mia situazione muscolare modificò gli esercizi e ne inserì uno durante il quale, con i piedi su una pedana inclinata, piegato a novanta gradi e con le braccia e mani estese all’indietro, mi dovevo lasciar cadere addosso a lei con la testa. Mi disse di non preoccuparmi che non sarei mai caduto ma mi sarei semplicemente appoggiato con la testa sulla sua pancia estendendo tutti i muscoli dorsali e cervicali. Le prime volte appoggiai la testa, poi iniziai ad alzare il viso ed appoggiare quello sul suo ventre. Se ne accorse e mi disse di non farlo perché mi sarei fatto del male al collo. Alla fine durante gli esercizi sul lettino mi sembrò che indugiasse col bacino sulla mia mano, ma non osai muoverla, avrei potuto aver frainteso un movimento assolutamente involontario.
Mancavano tre sedute alla mia completa riabilitazione e aggiunse un esercizio che si rivelò catastrofico: mi fece sdraiare su un materassino per terra per fare delle estensioni e nel frattempo mi controllava stando in piedi in fianco o dietro me. Inevitabilmente i miei occhi finirono sotto il suo camice arrivando a vedere gli slip bianchi e se ne accorse, ma non fece nulla. Quando mi disse di rilassarmi perché non riuscivo a fare un movimento, le risposi che non avrei mai potuto rilassarmi con quello che stavo vedendo, rise e con un movimento della mano si infilò il camice tra le gambe coprendosi. Nel frattempo però nelle mie mutande era iniziato un processo di crescita che alzandomi per mettermi sul lettino appariva visibilmente e non accennò a smettere, quando sentii le sue mani sulle mie spalle che iniziavano a massaggiarmi. Forse mi illusi ma mi sembrò, che fosse più carezzevole del solito e quando la guardai mi accorsi dove i suoi occhi stavano fissando. Alla nona seduta fui tentato di chiederle di fare un altro ciclo di terapia, ma mi sembrò ridicolo oltre che costoso. Attendevo l’esercizio del tappetino per vedere come si sarebbe comportata e lo spettacolo che mi offrì stando in piedi mi provocò una erezione evidente, inoltre si mise dietro di me e appoggiando le ginocchia sulle mie spalle mi chiese di allungare la testa portando il mento verso il petto. Feci esattamente il contrario e girai la testa all’indietro guardando fra le sue gambe socchiuse. Finalmente la vidi arrossire. Sul lettino non ebbi più dubbi, il suo bacino si appoggiava volutamente alla mia mano, la mossi impercettibilmente e continuò. Salutandomi e pagando la seduta, mi chiese se la settimana seguente poteva spostarmi l’orario dalle 15 alle 19. La ritenni una provocazione considerando che lo studio chiudeva alle 19. Chiuse la porta d’ingresso a chiave e lasciò aperta quello dello studio, studiavamo ogni nostro movimento per capire chi avrebbe iniziato, ma nessuno ne aveva il coraggio, fino al momento del tappetino. Avevo indossato volutamente un paio di slip molto bassi e quando come mi aspettavo il suo camice svolazzò sulla mia testa e il mio sguardo si infilò fra le cosce della mia terapista, l’erezione fece uscire il mio sesso dall’elastico delle mutande. Elena ridendo si inginocchiò cercando di rimetterlo a posto, ma ormai le mie mani erano dietro la sua schiena e la fecero cadere su di me. Iniziammo a baciarci freneticamente, e il mio sesso era già vicinissimo al suo, separato solo dal tessuto dello slip, che bastò spostare per lasciarlo scivolare dentro di lei, facemmo l’amore a lungo e bene, in silenzio. Quando ci rialzammo, mi vestii e feci per pagare la seduta, mi disse di no, che lo studio aveva chiuso alle 19. La invitai a cena, mi rispose che a casa l’aspettava il marito e la figlia, aggiunse solo : ti prego dimentica quello che è successo.