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martedì 27 gennaio 2009






Annina

Avevo conosciuto Anna una sera, in una pizzeria vicino alle Carceri di San Vittore. Era con Lorena una amica della stessa età, sedici anni. Più esattamente loro mi avevano abbordato mentre mangiavo una pizza da solo, erano già abbastanza sbronze o impasticcate e mi chiesero se quando avevo finito potevo accompagnarle a casa. Perché no. Lorena era molto carina, bionda, capelli ricci, aria sfacciata, provocante, Anna , viso particolare, jeans, aria da teppistella. Purtroppo mi chiesero di accompagnare prima Lorena, alla Barona, poi Anna li vicino, al Ticinese.
Ricordo quell’incontro con una lucidità che me lo fa rivivere al presente.
“ Non vuole che la lasci davanti a casa e mi chiede di fermarmi prima in una viuzza poco prima, appena spengo il motore mi chiede se voglio scoparla, al mio rifiuto rimane meravigliata e mi chiede se voglio rivederla o telefonarle. Ero scocciato, non mi erano mai piaciute le ragazze sconvolte e senza il minimo interesse mi segno il numero di telefono e la scuola dove poterla andare a prendere. Dopo qualche giorno vado ad aspettarla all’uscita, la accompagno e ci accordiamo di vederci la sera stessa. Era cambiata, allegra, chiacchierona, casinista. Le chiedo dell’amica, dicendole chiaramente che Lorena mi era piaciuta e che avrei voluto rivederla.” E qui parte con una storia strana : la madre dell’amichetta non voleva che la figlia uscisse con dei ragazzi, perché la obbligava ad incontrarsi con un signore molto anziano che la pagava per vederla spogliarsi e rimanere a gambe aperte davanti a lui. E soprattutto voleva che rimanesse vergine. Aggiunge poi che un loro divertimento è fare l’autostop, in coppia, a Milano, fermando unicamente auto guidate da uomini soli e offrendo di esibirsi in effusioni lesbiche e di guardarlo mentre si masturba davanti a loro, il tutto in cambio di un “regalino”. Rimango colpito da questi racconti, veri o falsi che siano, Anna mi incuriosisce, così le propongo di rivederci. Dopo un paio di uscite, iniziamo a scopare, bene anche, la ragazzina ci sa fare. In pratica la chiamo solo quando ho voglia di fare del sesso, senza una frequenza abituale, senza una parola affettuosa, apparendo e sparendo anche a distanza di settimane.
Lo strano fu che ad ogni mia telefonata, anche nelle ore più assurde, non si rifiutasse mai di uscire. Non volle mai parlarmi della sua famiglia e dribblava qualsiasi mi domanda in proposito. Spesso la riaccompagnavo a casa molto tardi e le chiesi se a sedicianni i suoi non protestassero. Risposta sintetica : mio padre abita a Montegrino e mia madre dorme e non si accorge dell’ora. Era una relazione che mi andava bene e mi permetteva, di avere altre storie e legami affettivi con ragazze e di uscire con lei quando ne avevo voglia. Non mi chiese mai nulla di cosa facessi quando sparivo per giorni o settimane. Fino ad una sera, o meglio una notte d’inverno. Erano le due, avevo una vecchia Jaguar 3.8 blu, ero vestito con dei jeans di velluto arancione e una pelliccia di mia nonna , a dorso nudo. Piazza del Duomo era ancora aperta alle auto e si poteva parcheggiare proprio sotto il monumento : dopo un panino con la ventresca di tonno ed il caprino, ingozzato alla Crota di piazza Beccaria per tamponare una fila interminabile di whiskies, stavamo scopando sui sedili di pelle Connolly rossa, e nevicava. Anna si mise a piangere e mi disse di essersi innamorata di me ormai da parecchio tempo. E che era l’ultima volta che ci saremmo visti. Un flash bruttissimo. Io volevo rivederla. Mi resi conto che mi piaceva la sua discreta presenza, velata di un sottile masochismo.
In quel periodo non avevo altre storie affettive e le proposi di fare coppia. Senza domande inutili. Così ci vedemmo più spesso e scoprii il piacere di conoscere un Anna nuova , dolce, piacevole e sempre più interessante sessualmente.
Una sera, dopo oramai qualche mese che ci frequentavamo eravamo di notte in auto a scopare alla Fossa dei serpenti alla Triennale, in un boschetto metropolitano frequentato da coppiette in cerca di tranquillità ( così almeno avevo sempre creduto !) scomodissimi, su una spider inglese anni 60. Ero preso dai contorsionismi e vari cambiamenti di posizione, quando alzando gli occhi ai finestrini mi accorsi che l’auto era circondata da 4 o 5 guardoni che spudoratamente si stavano masturbando davanti alle nostre acrobazie sessuali. La reazione di Anna quando glielo sussurrai in un orecchio, per non spaventarla, fu da par suo : “che forza, fammi vedere cosa fanno e facciamo finta di niente.” Così fu, e la ragazzina si divertì pure all’idea di eccitare degli sconosciuti, commentando anche le dimensioni dei vari sessi che aveva visto. Come accesi i fari, gli spettatori soddisfatti o meno sparirono nel nulla. Accompagnai a casa Anna, ma non resistetti alla tentazione di tornare sul luogo del mistero e capire qualcosa di più. Mi tornava strano che tante persone senza il minimo timore di essere viste si fossero comportate così. Mi era già accaduto che un guardone si avvicinasse di soppiatto, ma al mio minimo movimento fuggiva velocemente.
Ritornato alla Fossa, parcheggiai nella stessa posizione e attesi. In un attimo fui di nuovo accerchiato da uomini che erano arrivati silenziosamente, come marines in una azione nella boscaglia. Quando furono coi visi vicini al finestrino sentii chiaramente : “ uhe, ma le, la ghè nò” ( lei non c’è ) . Si allontanarono parlottando fra loro, per fermarsi poco più in là sotto degli alberi. Scesi e appoggiato all’auto mi accesi una sigaretta, poi con una lentezza che avrebbe voluto dimostrare sicurezza, ma che invece nascondeva una agitazione scivolante in paura, mi avvicinai al gruppo. Mi tolsero dall’ imbarazzo con un : “ bella la ragazzina, peccato che lo spettacolo sia durato poco.” La mia domanda fu ovvia : “ mi spiegate cosa succede qui ?” più esattamente dissi” ma com’è il colpo qua ?” Sorrisi generali. Ma senza prendermi in giro per la mia ignoranza in materia, mi spiegarono che quello, come altri a Milano, era un luogo dove le coppie esibizioniste cercavano spettatori per le loro performances e molto spesso anche compagni di giochi. Alla mia incredulità risposero semplicemente : sta qui un po’ e vedrai ! Nell’attesa mi spiegarono le varie modalità di aggancio. Coppia esibizionista : si piazza in un posto tranquillo e non visibile dalle auto di passaggio, fa dei segnali con le luci dei freni, ci si può avvicinare, uno per volta e guardare o attendere cenni dall’interno. Se i vetri rimangono chiusi è segno che vogliono solo essere guardati e guardarti mentre ti masturbi, se il vetro dalla parte di lei si abbassa e chiaro che la lei desidera almeno masturbarti. Coppia in cerca di “ un terzo “( o anche un quarto, un quinto ecc. !! ) passano in auto rallentando vistosamente nella strada fra i giardini, compiono più giri fino a quando non si accorgono di essere seguiti da un’altra auto, allora si dirigono dove preferiscono : può essere una zona periferica e tranquilla, un campo o addirittura casa loro. Raggiunto il luogo prescelto ci si parcheggia dietro di loro, quando accendono la luce interna ci si avvicina al finestrino che sarà aperto e la lei già pronta al gioco.
Verso le 2.30 passò lentamente una Simca 1000 e forse per ringraziarmi dello show che avevo offerto loro poche ore prima o per dissipare i miei dubbi mi dissero : “ vai tu, che è buona, la conosciamo, viene tutti i giovedì notte, è uno del comune con la segretaria . “ Non esitai un secondo e mi misi dietro di loro con l’auto. La mia eccitazione saliva ad ogni svolta segnalata da loro con la freccia e ad ogni semaforo rosso che mi permetteva di affiancarmi e scambiare significative occhiate con lei, veramente molto carina. Dopo aver attraversato quasi tutta una Milano , silenziosa, con i marciapiedi ancora occupati da prostitute italiane e parecchi posti disponibili per parcheggiare le poche auto che si muovevano in quegl’anni, la Simca 1000 grigio topo metallizzato si fermò in una viuzza buia e deserta che sicuramente conosceva bene, scovandola in un dedalo di capannoni industriali. Mi arrestai pochi metri dietro loro e spensi il motore, attendendo l’accendersi della loro luce interna. Nulla accadde per alcuni minuti. Poi un segnale con le luci dei freni ripetuto più volte. Mi decisi a scendere ed avvicinarmi, con le gambe un po’ tremolanti, alla portiera del passeggero, mi sentivo estremamente ridicolo ed impacciato, ma lo spettacolo che vidi nell’auto cambiò subito il mio stato d’animo eccitandomi improvvisamente. Lei, bellissima trentenne, era con un impermebile chiaro spalancato su uno splendido corpo coperto solo da mutandine, reggicalze e calze. Mi sorrise e mi fece segno di masturbarmi. Non mi lasciò quasi neanche iniziare che, abbassato il vetro e reclinato il sedile, allungò una mano per toccarmi, sfilandosi contemporaneamente le mutandine. Credevo di sognare, un’avventura così non era mai neanche passata nelle mie più sfrenate fantasie. Lui le sussurrò qualcosa all’orecchio, lei apri la portiera e scese dall’auto dicendomi : ti va di scoparmi ? Il giochino si protrasse fino alle 3.30 con variazioni infinite sul tema e sulle posizioni, mentre lui si limitava a guardare e masturbarsi. Al termine lei mi disse che le era piaciuto, che ero un ragazzo simpatico e che potevamo rivederci. Come fece a giudicare la mia simpatia non lo seppi mai. Se avessero già allora inventato i cellulari sarebbe stato più semplice rincontrarci, dato che scambiare i numeri dei telefoni di casa era impensabile. Con appostamenti e successivi appuntamenti riuscii a rivederli spesso e imparai da loro molte notizie sulle coppie, le vie di ritrovo a Milano, gli annunci, e informazioni sugli incontri nelle sale cinematografiche, particolare che finalmente diede una risposta a quello che mi era capitato anni prima al cinema Abel.




Maria

La compagna Maria. Maria la Pasionaria. L’avevo vista a diverse manifestazioni e cortei, bella e fiera col suo pakistano rosso e gli anfibi, tirava calci negli stinchi ai celerini quando caricavano meglio di un ragazzo. Bergamasca, capelli corti, pelle chiara, asciutta e muscolosa in un corpo che immaginavo solo attraverso jeans e maglioni lunghi. Le chiesi il numero di telefono mentre correvamo verso Piazza 5 Giornate con il lacrimogeni che ci facevano tossire, non dovetti neppure scriverlo, lo memorizzai all’istante e la chiamai la sera stessa.
Ci incontrammo a casa sua con altri compagni e ci infilammo in una di quelle discussioni che partivano da Marx e finivano alla piadina romagnola. Quando tutti se ne andarono, anche perché le canne erano finite, rimasi, la abbracciai e baciai senza dire una parola, sapeva di Maria. Ci fermammo di reciproco accordo, anche se il nostro desiderio era di infilarci nel letto, ma dovevano anche rientrare i suoi e non volevamo bruciare velocemente qualcosa che aveva presupposti molto piacevoli. Mi invitò per il fine settimana in una casetta di suoi amici sul lago di Lecco e quando passai a prenderla rimasi stupito dalla trasformazione, vestita da donna era un‘altra persona. Minigonna, calze di lana blu lavorate, un trucco leggero e un maglioncino che per la prima volta mi faceva scoprire un seno veramente bello e sodo. Nevicava, mangiammo polenta e salamelle e tanto vino che non riuscì però a scaldarci dall’umidità paurosa che regnava in quella casa estiva rimasta chiusa da mesi. Decidemmo di dormire mettendo un materasso davanti al caminetto e scaldarci stando abbracciati sotto una coperta di pelliccia che sapeva di naftalina. Il vino, il fuoco e la pelliccia fecero l’effetto desiderato e dopo una mezzora eravamo prima sudati, poi nudi. La scena era di un romantico reazionario, ma gradito. Arrapati come mai Maria salì su di me ed il mio sesso trovò la strada da solo, cominciò a muoversi come serpente mentre le mie mani non riuscivano a contenere i suoi seni, venne più volte ed io feci veramente fatica a trattenermi e se ne accorse dai miei scatti, così con la massima naturalezza una sua mano scivolò verso il mio sesso e l’indirizzò ad un apertura fino ad allora a me sconosciuta .
La storia con Maria durò diversi anni con la caratteristica della reciproca massima libertà. Ci vedevamo quando uno di noi lo desiderava e l’altro era d’accordo : una profonda amicizia ed una straordinaria intesa sessuale che faceva di ogni nostro incontro un momento di piacevole conversazione ed appagamento sessuale, forse ci volevamo bene, ma non ce lo siamo mai detto. Potevamo stare settimane o mesi senza vederci oppure vederci tutti i giorni era sempre tutto normalmente bello. L’ultima volta che ci incontrammo, ero già sposato, lei non lo sapeva e ritenni corretto informarla prima di fare l’amore, mi chiese se ero felice e mi comunicò che anche lei si sarebbe sposata il mese seguente, mentre facevamo l’amore con ancor più coinvolgimento del solito, le chiesi se avesse mai pensato che ci volessimo bene, dopo un lungo silenzio mi rispose solo che sarebbe stata l’ultima volta che ci saremmo visti. E non la vidi più.




Vittoria

Non mi è più capitato di desiderare una ragazza e dover aspettare sei anni per riuscire a fare l’amore con lei. Vittoria aveva quattro anni più di me, era la sorella di un mio amico e da quando avevo dodici anni era entrata prepotentemente nelle mie fantasie sessuali. Un misto di Brigitte Bardot e Jane Fonda, era la più corteggiata fra le ragazzine della compagnia estiva over 15 in montagna, quindi perennemente fuori dalla mia portata. Seguivo i suoi amori invidiando sentitamente i ragazzi che riuscivano ad ottenere i suoi favori, ma erano tutti più grandi di me e Vittoria non notava neppure con quanta passione la guardassi nelle sue sporadiche apparizioni in compagnia. La mia perseveranza nello sperare che prima o poi avrebbe potuto accorgersi della mia presenza fu premiata quando lei aveva 24 anni ed era fidanzata con un professionista quarantenne con tanto di Porsche e barca a Santa Margherita. Complice una sua nuova attrazione per i ragazzini accettò un invito a cena a casa mia in un periodo estivo mentre i miei erano in vacanza. Lei, suo fratello e altri amici. Una serata allegra e ben innaffiata dal vino; come fine pasto avevo preparato un’ anguria svuotata e poi riempita di pezzetti congelati e Grand Marnier. La compagnia aveva notato un affiatamento particolare che Vittoria dimostrava per me e molto opportunamente capì che era meglio andarsene e lasciarci soli. Come in un gigantesco sogno mi trovai, nella mia cameretta, nel mio letto, con la musica di Brel e con una ragazza che desideravo da sei anni. Dalla finestra aperta sentivo i primi goccioloni di un temporale, poi arrivò quel profumo particolare dell’asfalto che assorbe l’acqua, misto di catrame e polvere, infine un’aria fresca che accarezzava i nostri corpi nudi. Grazie all’effetto dell’abbondante alcool che avevo in corpo e alla paura di svegliarmi dal sogno non riuscivo assolutamente a venire, con gran soddisfazione di Vittoria che ne approfittò per soddisfare ripetutamente il suo piacere di farsi uno “sbarbato”. L’exploit della serata ebbe un effetto miracoloso e l’oggetto del mio desiderio mi dedicò alcuni mesi di passione sfrenata con l’aggiunta di un sentimento affettivo che fece vacillare il fidanzamento esistente. Eravamo come due animali che andavano in calore appena si vedevano e riuscivamo a fare sesso nei luoghi più impensati eludendo i sospetti ed i controlli del geloso fidanzato. L’esperienza di Vittoria nei rapporti sessuali migliorò molto le mie conoscenze e abilità, ricambiai con tutta l’esuberanza dei miei 18 anni. Ma le grandi passioni si consumano in fretta ed un intervento categorico del fidanzato la fece rientrare sulla retta via, lasciando a me il più piacevole dei ricordi, quello della conquista più desiderata nella mia vita.




Daniela

Il padre era un assiduo frequentatore del Bar Sport, vedovo abitava con la figlia nello stesso palazzo. Distintissimo ed elegante assicuratore, passava più tempo a giocare a carte che ad assicurare clienti. La figlia Daniela ventiquatrenne, maestra d’asilo era un bocconcino prelibato e forse proprio per questo evitava assolutamente non solo di fermarsi al bar, ma anche solo di passargli davanti. Di una bellezza eterea e delicata era minuta, bionda, capelli lisci lunghi, occhi chiari ed un corpo infantile, non arrivava al metro e sessanta e non pesava di certo più di quaranta chili. Questi particolari anatomici la facevano apparire molto più giovane, quasi un adolescente, ma l’abbigliamento elegante e raffinato le restituivano il fascino di una donna. Ci eravamo incontrati alcune volte a delle feste in casa di amici comuni e mi era piaciuta per una timidezza ed una fragilità che affascinavano, ballando con lei spariva morbidamente fra le mie braccia. Era nota per non aver mai avuto storie sentimentali con ragazzi della compagnia, al punto che si scherzava su una sua presunta frigidità. Al contrario, stando al bar, mi era capitato di vederla rientrare a casa di notte accompagnata in auto da un uomo.
Vivevo un periodo di euforia provocato da numerosi successi con le ragazze e pur avendo cinque anni meno di lei, decisi che me la sarei fatta. Era luglio, i miei erano già in vacanza nella casa di montagna e l’appartamento di Milano era a mia disposizione, telefonai a Daniela e la invitai a cena. Mi chiese spiegazione di un invito così inaspettato le risposi che era da tempo che desideravo uscire con lei e finalmente mi ero deciso a chiederglielo. Accettò di uscire la sera successiva, chiedendo di non passare a prenderla a casa, ci saremmo incontrati per un aperitivo in un bar di Via Boccaccio. Arrivò puntuale con la cinquecento blu, scese e mi sembrò ancora più carina del solito in un abitino leggero e svolazzante, sandaletti aperti e unghie laccate di rosa come quelle delle mani, due perle come orecchini. Dopo un aperitivo, salì sulla mia auto e ci dirigemmo a Gaggiano in un ristorante elegantino e all’aperto. La cena fu divertente, Daniela fece battute spiritose relative al sentirsi l’ennesima preda di un dongiovanni, ma non mi sembrò ostacolare il mio corteggiamento aperto e diretto, anzi ne sembrò compiaciuta. Terminata la cena appena salimmo in auto nel parcheggio, mi avvicinai per baciarla, non si rifiutò e socchiuse le labbra delicatamente accogliendo la mia lingua. Tornando verso Milano, mi fermai in un parcheggio deserto e la tirai verso di me baciandola, per la scomodità di quella piccola spider inglese le proposi di scendere e fare quattro passi. Non andammo oltre il parafango anteriore, dove mi appoggiai e la abbracciai, la strinsi a me, facendole sentire tutta la mia voglia che gonfiava i pantaloni, sembrò gradire molto e si strusciò sensualmente. Inaspettatamente sentii la sua mano che accarezzava il mio sesso attraverso il tessuto dei jeans e ne constatava la consistenza, mentre i baci diventavano sempre più appassionati. Le chiesi di venire a casa mia mentre già mi stavo dirigendo lì, chiese solo di non far troppo tardi.
Aprii la finestra della camera dei miei ed essendo al primo piano entrò la luce della piazza illuminando con discrezione il letto matrimoniale. La feci sedere sul letto verso la finestra da dove oltre alla luce entrava un alito di vento tiepido, mi inginocchiai fra le sue gambe e iniziando dall’interno delle ginocchia risalii fino alla fine delle cosce leccandola lentamente, mi mise le gambe sulle spalle per favorire l’operazione lasciandosi andare sul letto. Le scostai lo slip e le leccai il clitoride piccolo e saporito. La spogliai e rimasi incantato a guardarla, era uno spettacolo incantevole, una porcellana pregiata, un seno piccolo infantile, che le leccai subito, le sfilai le mutandine e affondai di nuovo la bocca fra le sue gambe. Ansimava dolcemente e smisi prima che venisse, si rimise seduta e quasi con furia mi tolse la camicia e slacciò la cintura dei pantaloni, accarezzandomi il sesso con le due mani. Leccandomi l’ombelico mi fece scendere contemporaneamente jeans e mutande, rimase a guardarlo, poi se lo strusciò col viso prima di estrarne la punta, baciarla e leccarla. Mi sussurrò di sdraiarmi e lasciar fare a lei. Mi salì sopra e tenendo a fatica il pene disteso sul mio ventre si aprì il sesso e cominciò a sfregarsi avanti e indietro fino a venire, pensai per attimo che non volesse introdurlo credendo che avesse paura di farsi male. Fu una mera illusione, perché lo impugnò e dopo averlo indirizzato scivolò lentamente penetrandosi senza fatica. L’unica parte di quel corpo che non fosse minuta era il suo sesso. Non avrebbe mai smesso e più volte dovetti immobilizzarla per non venire. Mentre mi diceva di non fermarmi più e venirle dentro ebbe un orgasmo lunghissimo con una perdita di liquido che tentò di arrestare con le mani. Sentire quel caldo scivolarmi sul ventre mi fece esplodere dentro di lei. Accompagnandola alla sua utilitaria le chiesi di rivederci presto, mi disse di no. E’ stato molto bello così, non roviniamolo con una storia che starebbe in piedi.




Ombretta

Il più scontato dei passatempi intorno ai 18anni era il bar. Quello che frequentavo io, guarda caso si chiamava proprio Bar Sport in via Paolo Giovio. Era il centro nevralgico di almeno tre tipologie di clienti. I ragazzi come noi 18/25enni, che si trovavano la sera per cazzeggiare, tentare di trovare un accordo impossibile su quale film andare a vedere, parlare di “donne e motori” o di “cambiare il mondo”. I mariti che fuggivano dalla noia famigliare, dai 30 ai 50anni, che passavano ogni momento libero della giornata a giocare a carte o a biliardo: iniziavano alla mattina passando a bere il caffè, chi di professione faceva l’agente o il rappresentante aveva trasformato il bar in un ufficio dove riceveva telefonate dai clienti oltre che dalla moglie che era certa di trovarlo sempre lì. Verso mezzogiorno l’aperitivo con partitina a carte, alle 2 il caffè e l’inizio di una faticosa giornata al tavolino del tresette o del ramino pokerato, interrotta solo per andare a casa brevemente per la cena e ritrovarsi per continuare fino a quando il corpulento proprietario li cacciava per chiudere. Infine i pensionati del bar, vere colonne portanti, puntuali al mattino come per andare in fabbrica, passavano l’intera giornata al bar tra chiacchiere, calicetti di bianco, e litigiose partite a briscola chiamata. La figura femminile era completamente assente e sconsigliata, al punto che se qualcuno si fermava di passaggio lasciava la moglie o la fidanzata tassativamente in auto. Motivo: troppo pericoloso farla conoscere ad amici che non aspettavano altro che tentare di soffiartela sotto il naso.
Questo errore lo commise Ettore, reo di essermi anche debitore di una discreta sommetta persa a poker, aggiunse a questa infamia, l’infelice idea di presentarsi una sera con la neo fidanzata ventenne, Ombretta. Sicuramente voleva fare un figurone con gli amici per la splendida creatura che lo accompagnava. Il particolare che colpiva di più erano i capelli, rossi, lunghi sulla schiena e ricci, incorniciavano un visino stupendo dall’incarnato pallido con qualche efelide. Il corpo minuto, gambe perfette messe in risalto da una minigonna non vertiginosa. Da una nutrita serie di domande dall’apparenza innocente, riuscii a sapere dove abitava e dove lavorava, sicuramente Ettore si accorse che tutti gli amici se la stavano mangiando e che la fanciulla era lieta di avere così tanti ammiratori. Interruppe la sua visita al bar velocemente.
Le informazioni raccolte ed un breve appostamento mi permisero di passare“casualmente”quando Ombretta uscì dall’ufficio in Via Primaticcio, le offrii un passaggio e un aperitivo e quando la lasciai sotto casa le chiesi il numero di telefono. Mi domandò perché lo volessi, inventai una scusa così cretina che rise e me lo diede. Le prime telefonate erano conversazioni banali, poi dato che il prode Ettore viaggiava per l’italia come rappresentante ed era spesso lontano da Milano per intere settimane, la invitai a cena. Accettò dopo una mia leggera insistenza. Era fine settembre, ma il clima era decisamente ancora estivo, da jeans e maglietta, quando la vidi uscire dal portone di casa fui lieto di vederla con la gonna, poteva significare due cose: o non si aspettava assolutamente che ci provassi o se lo aspettava e si era messa comoda, l’importante era che non indossasse pantaloni. Il ristorante era sul Ticino a Vigevano, tranquillo e romantico con un comodo piazzale poco distante con vista sul fiume e chiaro di luna. Durante la cena il mio corteggiamento fu esplicito, quanto il suo gradimento, quindi come da copione usciti spostai la Flavia coupè con sedile in pelle naturale, di quel breve tratto per parcheggiarmi dove avevo previsto. Dopo pochi minuti le nostre lingue già combattevano reciprocamente e la sua voracità nel mordermi le labbra mi provocò un’immediata erezione, la feci sdraiare appoggiandosi tra me ed il volante ed iniziai ad accarezzarle il seno sotto la maglietta e senza reggiseno. Quando la mia mano scese e si insinuò sotto la gonna sfiorandole l’interno delle cosce la bloccò accavallando le gambe ed impedendomi di proseguire. Il mio sesso premeva sul suo fianco ed i suoi baci sempre più aggressivi, finché aprì le gambe e mi lasciò arrivare alla meta. Lle chiesi se fosse dello stesso colore dei capelli, rise sfilandosi gli slip e accendendo un attimo la luce sotto lo specchietto retrovisore. Era rossa. Dopo una lunga manipolazione con un contorsionismo assurdo arrivai con la bocca sul suo sesso, era aspro e sugoso. Mi imprigionò la testa serrando le gambe con una violenza tale, per non farmi smettere che credetti di soffocare. Farla venire in fretta era dovuto più ad una mia necessità di respirare che al piacere di sentirla godere. Quando venne mi prese la testa fra le mani e la mosse freneticamente strofinando il suo sesso spalancato sulla mia bocca, sul mento, sul naso e urlò il suo piacere come se la stessi ammazzando. Senza una pausa riprese a baciarmi e leccarmi il viso, mentre facevo scendere i ribaltabili e mi sdraiavo su di lei facendole sentire tutta la mia voglia ancora rinchiusa nei jeans. Ero senza fiato travolto da quella furia rossa che mi aveva attanagliato con le gambe sulla schiena e si sfregava come una gatta sulla mia patta, pensai che finalmente fosse giunto il momento di liberare il mio sesso dalla claustrofobica costrizione. Appena ci riuscii e tentai di infilarlo dove meritava, la belva rossa chiuse le gambe di colpo, mi piantò le unghie nel petto e mi morsicò un labbro. Rimasi basito e quasi persi l’erezione per lo spavento ed il dolore. L’unica cosa che riuscii a pensare fu : sono rovinato, questa mi denuncia per tentata violenza carnale. Sbagliavo di grosso, perché subito riprese a mugolare, a baciarmi e sfregarsi il mio povero sesso tra i suoi peli rossi. Come riprovai ad introdurlo, stessa scena di prima, pugni, ginocchiate, graffiate. Mi bloccavo e lei mi riprendeva e mi tirava verso di sé. Al terzo tentativo mi disse : non fermarti, mi piace farmi prendere con la forza.
Ero così incazzato che veramente la presi con la forza, bloccandole le mani e penetrandola con decisione, come fui dentro di lei, perse ogni forza ed ogni tentativo di ribellione venendo con grida e singhiozzi assurdi. Si riprese subito e piantandomi le unghie nella schiena e nei fianchi accompagnava i colpi del mio sesso dentro il suo. Forse per il male che mi facevano le sue unghie che graffiavano a sangue o forse per la situazione decisamente sconvolgente non riuscivo a venire, mentre lei infilava un orgasmo dietro l’altro, stavo per rinunciare quando mi disse: “basta ti prego vienimi in bocca”. Vederla mentre si strizzava i capezzoli con forza ed estraeva la lingua come un’ossessa mi fece impazzire e in pochi attimi le venni in bocca sui seni e sul viso. Dovetti buttar via la Fred Perry gialla perché le strisciate di sangue sulla mia schiena l’avevano conciata irrimediabilmente. La seconda piacevole esperienza con una rossa naturale confermò la mia impressione che siano veramente delle donne con una sessualità particolare.




Enrica

La sete di conoscenza non si placava però solo con ragazzine della nostra età e poiché girava la voce che certe pasticcerie e sale da tè del centro fossero un luogo di incontro dove gentili, ricche e mature signore cercavano la compagnia di giovincelli di primo pelo, mi gettai alla scoperta in compagnia di Roberto una spalla di prima scelta. Vestiti benino, come anche la mamma avrebbe approvato, ci presentammo all’ora del tè alla pasticceria Passerini in Corso Matteotti. In effetti di signore non giovani ve ne erano parecchie, appetibili, quasi nessuna, ma la curiosità ed il fascino dell’esperienza ci spinsero ad insistere nel farci agganciare. Sguardi, occhiate, ammiccamenti non servirono che a farci sentire due imbecilli, mentre la soluzione era più semplice di quanto credessimo. Quando chiedemmo il conto il cameriere ci informò che era già stato provveduto e ci indicò le gentili ospiti, andammo a ringraziare e ci invitarono a sedere al loro tavolo. Facevano veramente impressione per la vecchiaia mascherata da spatolate di cerone, ma il gioco era divertente ed istruttivo, chiacchierammo e venimmo a sapere ad esempio che in piazza Diaz in un famoso dancing notturno, ogni giovedì e domenica pomeriggio si tenevano dei “tè danzanti” frequentati oltre che dalle nostre conoscenti da altre signore in cerca di evasioni maschili. Manco a dirlo il giorno dopo era giovedì e noi puntualmente eravamo presenti in giacca e cravatta. La fauna presente era degna di un film di Fellini : la parte femminile era eterogenea e di diverse età, nel mucchio qualche giovane quarantenne discreta si faceva notare. La componente maschile andava da ragazzini diciottenni come noi, che ballavano mordicchiando lobi e pendenti con brillanti a sessantenni ingioiellate come Madonne ad azzimati signori con baffetti alla David Niven e scarpe di vernice ed abiti scuri che odoravano ancora di sale corsa e bische clandestine. Per invitare a ballare le poche signore appetibili c’era la lista d’attesa, così si aspettava il proprio turno per poter giocare nei tre minuti del disco le carte per affascinare la preda, assicurarsi l’esclusiva dei prossimi balli e possibilmente anche l’invito ad accomodarsi al suo tavolino. Non so se fu merito del mio viso da bravo ragazzo o più facilmente del fatto che ero nuovo in quel posto, la trentottenne signorina Enrica, professoressa di greco, abitante con la famiglia in corso Monforte, ballò solo con me per tutto il pomeriggio. Stringevo a mio piacere il suo corpo magro e muscoloso, inebriato dal suo particolare profumo, aveva fragranze che andavano dal mughetto alla canfora da armadio, con venature di quel sentore che solo le donne di pelle chiara e capelli rossi sanno emanare. Una mano in L4/L5 le premeva il bacino sul mio sesso, l’altra le accarezzava il collo mentre le chiedevo se aveva un’auto fuori e le sussurravo che avremmo potuto andarcene un po’ prima e stare da soli. La vettura era una Ford Anglia azzurro acqua e ancora prima che avviasse il motore la stavo baciando appassionatamente e toccando sotto le gonne. Mi chiese dove dirigersi e durante il tragitto tra il centro e la Montagnetta di San Siro le mia dita avevano già oltrepassato la barriera delle sue mutandine, stazionando in un luogo così allagato da non sapere cosa fare d’altro per migliorare una situazione, che l’aspettativa della signorina aveva già reso più che ottimale. Fermi davanti allo spettacolo delle luci della città viste dall’alto di quella montagna Milanese, lasciai che la prof. con la massima calma si togliesse gli occhiali li posasse sul cruscotto, mi slacciasse i pantaloni grigio fumo di Londra e scivolasse con la testa verso un sesso che ormai l’aspettava impazientemente. L’abilità che applicava nell’operazione faceva dubitare fra una consumata abitudine ed una troppo desiderata fantasia, ma quando mi salì sopra e si abbandonò ad un improvviso multiorgasmo decisi che era sicuramente una famelica fantasia malamente repressa.




Ornella

La conquista della patente automobilistica non coincise con il possedere una vettura, ma stabilì fra me e mio padre una nuova e simpatica complicità. Lui era gelosissimo della sua Fiat 1500 bianca interno in sky rosso e mi era permesso usarla solo con lui al fianco, sopportando una sequela di consigli e raccomandazioni tali da togliere ogni piacere alla guida. Inutilmente avevo chiesto di prestarmela per uscire alla sera con gli amici: il no era categorico. In quel periodo avevo scoperto un simpatico giro con le commesse della Rinascente, c’era una certa disponibilità al dialogo mentre erano dietro i banconi e una buona possibilità di aspettarle all’uscita di via Santa Redegonda. La prospettiva poi di accompagnarle a casa era vincolata al presentarsi al volante di una vettura, più era sportiva e più le commesse che vi salivano erano carine. Direttamente proporzionale. Avevo conosciuto Ornella, commessa al reparto tessuti. 25 enne certamente bella e l’attesi a piedi all’uscita. Evidentemente non ero il solito furbacchione tampinatore di commesse, già pronto con l’auto ad aspettarle. Passeggiammo fino a casa sua, i genitori avevano una portineria in via Terraggio, mi diede il numero di telefono e ci rivedemmo la domenica seguente per un film. Nelle ultime file del cinema Gloria, occupate anche da altre coppiette, riuscimmo a scambiarci acrobatiche manipolazioni sotto una impalcatura fatta dai cappotti. Era la premessa di un incontro di altissimo livello, realizzabile però all’interno di una comoda vettura. Come fare? Amici tanto altruisti da prestarmi l’auto? Neanche a pensarlo. Alla sera mentre mia madre era in cucina, mi avvicinai a mio padre con l’aria di un cane abbacchiato e dissi: ” Papà dovrei uscire con una ragazza molto carina e mi servirebbe proprio la macchina !” L’avevo detto tutto d’un fiato e già mi aspettavo un secco NO, quando mio padre andò in anticamera prese le chiavi dell’auto e me le diede senza dire una parola. Avevo toccato il tasto giusto. La donna. Ornella, sulla riva del Ticino a Vigevano, collaudò i reclinabili paterni e mi regalò il primo amplesso in un’auto. Quell’alcova mobile diventerà silenziosa complice delle scopate d’intere generazioni di giovani e meno giovani. Le occasioni per chiedere l’auto a mio padre furono frequenti e mi resi conto simpaticamente di quanto fossero facilitate le risposte affermative ogni volta che pronunciavo la frase magica: Papà avrei una ragazza nuova da portar fuori. Quel “nuova “ era la chiave magica che apriva la sua complicità. Purtroppo da giovani si sbaglia spesso ed io ero giovane. Affascinato dall’ebbrezza provocata dal bere alcolici. Alle feste o nei locali frequentati bevevo abbondantemente con grave alterazione della mia capacità di parcheggiare automobili e una aumentata abilità invece nello strisciarle contro pali e paracarri. La Fiat 1500 bianca soffriva, mio padre ancora di più ed io mi trovai presto senza auto, mi salvò da una crisi esistenziale un prestito di mia madre che mi permise di acquistare una 500 seminuova, il mitico “Cinquino”. Non aveva la comodità della 1500 ma era pur sempre un tetto sulla testa e soprattutto su due sedili ribaltabili. La benzina costava 120 lire e con cinquecento lire giravo due giorni. Con i primi soldi arrivati da una infinità di lavori intrapresi avendo lasciato il Liceo ed iscrittomi contemporaneamente alla scuola serale di Grafica Pubblicitaria, iniziai una lenta, ma inesorabile personalizzazione della mia vetturetta. Sospensioni abbassate, cerchi allargati e un motore elaborato Abarth. Velocità 140 chilometri, allora.




Hiromi

I primi anni del liceo furono strampalati e divertenti. Eravamo come zingari in cerca di una sistemazione temporanea per le nostre aule. Vivevamo la gestazione di quello che poi diventò il Liceo Einstein, cambiavamo sede ogni anno, da Piazza Zavattari ospiti pomeridiani del Vittorio Veneto, passammo, nelle aule del Cottolengo. Si, il Don Orione di Caterina da Forlì e vi giuro che non ci faceva ridere dover spiegare alle ragazze che frequentavamo il liceo al Cottolengo, ma eravamo quasi normali. Infine approdammo negli umidi seminterrati dell’Umanitaria di via Pace, dove le aule erano dotate di vecchi banchi in legno con la ribaltina, cimeli recuperati da qualche scuola elementare demolita. Contrariamente alla struttura della scuola alcuni docenti erano veramente in gamba, come il professor Fabietti che ci affascinava con le sue lezioni di storia e filosofia, altri, come la supplente della prof. di italiano ti seppellivano nella noia e per evitare di addormentarci ci sbizzarrivamo nel fare cazzate. La più eclatante la combinò il rampollo di un noto architetto milanese. Lavorando per giorni e giorni con un temperino su un nodo nel legno della ribaltina del banco, riuscì a toglierlo, lasciando un bel buco tondo e liscio, guarda caso dello stesso diametro del suo pene a riposo. La mattina che il futuro architetto decise di vedere se riusciva a far passare il suo affare in quel buco per far ridere il resto della classe, successe il finimondo. Nascondendosi dietro una pila di libri riuscì nell’operazione, ma una volta infilato, giocherellando per meglio far apparire il funghetto nel prato di legno, raggiunse un certo livello di erezione, che quando la prof. lo chiamò alla cattedra per interrogarlo, gli impedì di alzarsi, obbligando la signorina a controllare la causa di quello strano comportamento. Lei quasi svenne, lui quando riuscì a far rientrare il funghetto nei pantaloni fu trascinato dal preside e sospeso per alcuni mesi
Agli inizi degli anni 60 a Milano vi fu un fiorire di "cantine", ritrovi privati ricavati in vecchi seminterrati o laboratori, affittati generalmente con contratti intestati a fratelli o prestanome maggiorenni e trasformati con il lavoro comune dei reali occupanti, in un incrocio tra una fumosa garconierre, una sala d’ascolto musicale e più di tutto una mini discoteca. Vi passavamo i sabati e domenica, ballando alla luce di candele, organizzando feste e stilando classifiche dei primati di conquista delle fanciulle che avevano frequentato il posto. Queste cantine diventavano in breve arcinote e richiestissime dai giovani milanesi al punto che si creavano assembramenti tali per poter entrare, che i vicini inviperiti chiamavano il 113 e il proprietario dei locali ci cacciava. Inevitabilmente il mio giovanile entusiasmo anarcoesistenzialista e la passione per dipingere, mi fece aprire una di questa cantine in via Ripamonti 193, riempiendola di miei quadri, oltre a mobili, divani e altri accessori acquistati dai frati di Caterina da Forlì. La cantina visse un periodo d’oro di un paio d’anni con la punta massima di notorietà durante l’inverno del 64, quando il tram che faceva il capolinea a poca distanza, la domenica pomeriggio era a volte pieno di ragazzi e ragazze che volevano entrare. Erano gli anni della grande sofferenza perché non avevo ancora la patente, del movimento studentesco, dell’eskimo e delle scazzottate in piazza San Babila con i fascistelli del bar Pedrinis.
La fine ingloriosa della mia cantina avvenne la notte di capodanno di quell’anno, quando l’intervento di numerose auto della polizia chiuse, fortunatamente senza conseguenze penali, quella che venne definita una discoteca non autorizzata. I due anni erano bastati però a collezionare una bella serie di fortunate esperienze con le ragazzine che passavano per la cantina. Verso sera alla chiusura era normale che una di loro rimanesse ad ammirare i quadri e collaudare la comodità dei divani. Un ricordo particolarmente delicato per la sua dolcezza fu Hiromi una ragazzina giapponese, non seppi mai come o con chi capitò lì quella domenica pomeriggio. Ballai solo con lei, parlava il classico italiano degli orientali, sostituendo l’elle all’erre. Era morbida e si lasciava abbracciare e sbaciucchiare sul collo, quando tutti se ne stavano andando, la vidi esitare nell’infilarsi il cappotto, mi guardava come per capire perché non le avessi ancora chiesto di fermarsi. La raggiunsi, riappesi il suo giaccone e chiusi a chiave la porta. Eravamo soli, finalmente ci baciammo dolcemente ed a lungo sul fatidico divano. Sarebbe stato banale confondere la sua arrendevolezza con la passività di una ragazzina sottomessa, era invece una dolcezza carica di trasporto e di piacere nel dare piacere. Si lasciò spogliare della gonna e delle mutandine, m’inginocchiai fra le sue gambe ammirandone il candore e la morbidezza dei peli lisci e lunghi del suo sesso e come la mia lingua le accarezzò il clitoride, ebbe un orgasmo stranissimo e quasi immediato, mugolii e versetti simili a un pianto sommesso, come una sofferenza appena percepibile. Rimasi imbarazzato pensando di aver sbagliato qualcosa, ma le sue piccole mani che si posarono sulla mia testa spingendola di nuovo sul suo sesso e la rilassatezza del suo corpo che ne seguì furono la conferma del piacere provato. Mi chiese di aspettare prima di fare l’amore perché l’orgasmo l’aveva appagata, ma quando entrai in lei, riprese immediatamente il piacevole mugolio che durò fino a quando non terminai io, senza aver capito se per tutto il tempo avesse continuato a godere.