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giovedì 6 novembre 2008

Milena







Milena




Frequentavo ormai la terza media, pigramente, più attratto dalle compagne e più attento a non perdermi gli inviti alle festicciole domenicali che alle lezioni. L’unica attrattiva che rallegrava la noia delle mattine in classe era la prof. di inglese, uno schianto, giovane, bella e maliziosa. Prima della sua ora di lezione si scatenava il putiferio, si faceva a botte per occupare il primo banco davanti alla cattedra, gli altri banchi come calamitati si schieravano incollati vicino a quello creando una sorta di imbuto convergente alla apertura sotto la scrivania che consentiva di guardare le gambe della prof. Quando entrava certamente non poteva non notare quella strana formazione peraltro mobile, che appena lei si sedeva ed accavallava le gambe si muoveva lentamente avvicinandosi sempre di più, come degli striscianti marines in agguato. Chi era riuscito ad impossessarsi del primo banco nel giro di pochi minuti riusciva a spostarlo impercettibilmente fino a raggiungere il contatto con la cattedra. Ad ogni accavallamento particolarmente lento che permetteva la visione del reggicalze, seguiva una specie di Ola di incoraggiamento. E lei sorrideva. Solo quando indossava i pantaloni i banchi rimanevano nelle loro posizioni originali.
Altro valido motivo per non bigiare, specialmente al venerdì, erano gli inviti alle eventuali feste nel fine settimana. Le feste erano un’occasione ghiotta per conoscere e socializzare con esseri del sesso opposto: si svolgevano in casa, in appartamenti adatti con sale da pranzo ampie, il figlio o la figlia di un operaio che viveva in un bilocale dormendo nel divano letto in sala o in quei mobili bar/libreria con letto apribile, che tanto si usavano in quegli anni non organizzava mai alcuna festa, rivestiva solo il ruolo di eterno invitato. Il giorno canonico era il sabato o la domenica pomeriggio, il più delle volte erano feste di compleanno. Le ragazze sfoggiavano abitini di velluto a tubino, che ancora non scoprivano il ginocchio e noi maschietti eravamo categoricamente in giacca, cravatta e brillantina. Orari obbligati con inizio alle tre del pomeriggio e fine alle 19 quando i rispettivi genitori venivano a riprenderci, quindi avevamo quattro ore esatte per puntare, conquistare e ballare guancia a guancia con la fanciulla dei sogni. Sotto lo sguardo vigile dei padroni di casa, nonché genitori di chi aveva organizzato la festa, spostando il tavolo della sala da pranzo in un angolo con funzioni di buffet, pasticcini e bibite analcoliche e mettendo le sedie alle pareti per lasciare spazio al ballo. L’inizio era un lento accurato studio sulle ragazze presenti, particolarmente sulle amiche delle amiche, mai viste prima, la fase di studio durava il tempo necessario a mettere gli occhi sulla preda, quasi sempre “carinissima” ce n’era una sola e tutti i maschi la volevano conquistare, il che voleva solo dire che già allora, lei aveva un’ampia gamma di scelta, mentre noi potevamo solo sperare soffrendo. Per i più sfigati o sfigate la fase di studio poteva anche durare quattro ore, seduti sulla sedia a rodersi per la timidezza di invitare o la speranza di essere invitate, a ballare. La prescelta a quel punto stava già ballando col tuo amico e ripiegavi sulla seconda scelta e così via cadendo sempre più in basso, fino alle 18 e trenta, quando ti decidevi di invitare a ballare la festeggiata padrona di casa, cicciottella e brufolosa. La presenza dei genitori, zie e nonne era fondamentale, come era fondamentale la luce accecante ed i balli aperti, tre deterrenti che scoraggiavano ogni tentativo di contatto fisico fra i due sessi.
Fino alle diciotto. A quel punto, la parentela si ritirava per le mansioni casalinghe e noi potevamo abbassare le luci, mettere i lenti e se ti diceva bene, slinguazzare la fanciulla sul collo. Con queste eccitazioni le mie irruenti pulsioni sessuali si scaricavano generalmente ripensando alla mano della cugina, oppure sfogliando Alta Tensione o altri giornaletti porno anni 60, porno significava fotomodelle in bikini.
Ma il destino mi riservava una sorpresa.
La portiera del palazzo mi chiese se potevo dare qualche ripetizione di matematica alla figlioletta Milena, 12 anni, lunghi capelli castani, visino alla Romina Power, due piccoli seni che spuntavano timidamente e due gambe troppo lunghe per una gonnellina indifferente della crescita inadeguata di chi la indossava. Il risultato fu un irresistibile desiderio di scoprire dove finissero quelle gambe sotto la gonna: così all’inizio mi cadeva spesso la matita e indugiavo raccogliendola in sbirciate furtive, ma non potendo far cadere la penna ogni minuto, mi organizzai con uno specchietto che usava mia madre in bagno, funzionava alla perfezione e Milena ignara, poteva seguire le mie spiegazioni con le gambe spalancate sotto il tavolo come sua abitudine senza sospettare che io ammirassi quello spettacolo. Mentre nei miei pantaloni si contorceva il mio struggimento, nella mia mente si alternavano alle equazioni, i ritornelli delle canzoni di Neil Sedaka e le ipotesi di come fare a ottimizzare l’ascendente che la mia statura ed il ruolo di quasi insegnante mi poteva offrire sulla giovane allieva. L’occasione mi arrivò con lo sviluppo di una equazione che Milena proprio non riusciva a capire, così le chiesi di passare dalla mia parte del tavolo per aiutarla meglio e dato che in piedi era scomoda la feci sedere su una gamba. Il contatto col suo corpo ebbe un effetto devastante ed il bozzo dei pantaloni che cercavo di sfregare sulla sua gamba suscitò una tale curiosità in lei che quando le presi una mano e la feci appoggiare là, non oppose resistenza e mi assecondò quando l’accompagnai in un massaggio con una umida conclusione. E’ proprio vero che le ragazzine maturano prima dei maschi, tutte le mie elucubrazioni per arrivare a quel risultato forse avrebbero potuto essere evitate perché mi disse che non era la prima volta che lo faceva.
La frequenza delle ripetizioni aumentò, come pure quella dei suoi massaggi e delle mie prime esplorazioni sotto una gonna. Il risultato che la cucina materna aveva avuto sul mio fisico mi faceva sembrare decisamente più grande, non facevo fatica a spacciarmi per diciassettenne e dedicarmi alla scoperta dell’altro sesso come al più gratificante dei divertimenti. Con Milena gli incontri continuavano non più con la copertura delle ripetizioni, ma furtivamente in interminabili pomeriggi passati, con la spesa di 230 lire al cinema Abel, dietro casa, nelle ultime file, dove le nostre lingue si sfidavano all’inseguimento del Guinness di durata di un bacio e mentre la sua mano si muoveva espertamente non più solo sopra i miei pantaloni, le mie imparavano celermente l’anatomia del corpo umano femminile.
Sempre nel medesimo cinematografo mi capitò il primo incontro trasgressivo della mia vita.
Ero in attesa di Milena il cui arrivo non era mai sicuro, ma condizionato da imprevedibili fughe da casa, quando entrò una coppia e pur essendo la sala praticamente vuota si sedette, con lei bellissima bionda profumata, nel posto accanto al mio. Non capivo assolutamente cosa significasse quel comportamento, anzi ne fui quasi intimidito, fino al momento in cui vidi salire le gonne della mia vicina spostate dalla mano dell’uomo, scoprendo due cosce inguainate in calze di nylon che si offrivano ai miei sguardi .
Non capivo più nulla e non sapevo cosa fare, se non constatare che stavo avendo una mostruosa erezione, quando sentii la mano di lei posarsi sulla mia ed accompagnarla là dove finivano le cosce e dove non c’erano mutandine a coprire il primo pelo femminile che accarezzavo in vita mia . Mentre la mia mano si muoveva con estremo impaccio cercando una via d’ingresso in un luogo sconosciuto, la mano di lei con ammirevole perizia aveva già abbassato la cerniera dei miei jeans e si era infilata oltre i miei slip manovrando con una abilità ben diversa da quella di Milena.
Ero per la prima volta nella mia vita in una sala cinematografica con il sesso fuori dai pantaloni ed in mano ad una donna. E non sarebbe stata l’ultima.
L’occasione si ripresentò infatti al cinema sarpi dove una domenica con un compagno di classe ero entrato per vedere un film con Jerry Lewis, la piccola sala era piena, così dovemmo arrangiarci a trovare dei posti separati. Io finii, facendo alzare una fila intera, in fianco ad una signora con due bambini piccoli e chiassosi. Era inverno e ripiegai il cappotto sulle gambe sedendomi, la giovane mamma mi guardò stranamente, come se si meravigliasse che avessi scelto proprio quel posto. Come iniziò il film sentii una leggera pressione sul gomito appoggiato al bracciolo, lo spostai per paura di aver occupato troppo spazio, ma quando il ginocchio della gentile mammina si appoggiò distrattamente al mio spingendo, nei miei pantaloni avvenne il classico sconvolgimento e attesi nella speranza di sue ulteriori mosse.
La sala era piena e mai avrei pensato che avrei potuto ripetere l’esperienza del cinema Abel, ma la signora era sicuramente più esperta di me e dopo aver sistemato meglio il suo cappotto coprendo le sue e le mie gambe, continuò lo strofinamento col ginocchio. Mi feci coraggio e risposi ricambiando lo strofinamento fino a quando la sua mano sfiorò la mia gamba, l'accarezzai e me l'accompagnò sulla sua coscia, e lasciò che mi intrufolassi in mezzo aprendo maliziosamente le gambe, mentre la sua mano si faceva strada verso il mio sesso arrivando a constatarne la preparazione. Non ebbi assolutamente ne il coraggio ne il tempo di aprire la cerniera, fu inutile perché la sua mano era già entrata dall’alto della cintura e si era impossessata del mio sesso, iniziando a masturbarmi lentamente. In pochi minuti o secondi venni nella sua mano e nei miei slip.
Questa nuova esperienza aprì definitivamente la mia fantasia alla realtà di incontri anonimi nel buio delle sale cinematografiche, creando in me la curiosità che mi accompagnerà a lungo nella ricerca di quelle particolari emozioni.

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