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martedì 27 gennaio 2009





Ombretta

Il più scontato dei passatempi intorno ai 18anni era il bar. Quello che frequentavo io, guarda caso si chiamava proprio Bar Sport in via Paolo Giovio. Era il centro nevralgico di almeno tre tipologie di clienti. I ragazzi come noi 18/25enni, che si trovavano la sera per cazzeggiare, tentare di trovare un accordo impossibile su quale film andare a vedere, parlare di “donne e motori” o di “cambiare il mondo”. I mariti che fuggivano dalla noia famigliare, dai 30 ai 50anni, che passavano ogni momento libero della giornata a giocare a carte o a biliardo: iniziavano alla mattina passando a bere il caffè, chi di professione faceva l’agente o il rappresentante aveva trasformato il bar in un ufficio dove riceveva telefonate dai clienti oltre che dalla moglie che era certa di trovarlo sempre lì. Verso mezzogiorno l’aperitivo con partitina a carte, alle 2 il caffè e l’inizio di una faticosa giornata al tavolino del tresette o del ramino pokerato, interrotta solo per andare a casa brevemente per la cena e ritrovarsi per continuare fino a quando il corpulento proprietario li cacciava per chiudere. Infine i pensionati del bar, vere colonne portanti, puntuali al mattino come per andare in fabbrica, passavano l’intera giornata al bar tra chiacchiere, calicetti di bianco, e litigiose partite a briscola chiamata. La figura femminile era completamente assente e sconsigliata, al punto che se qualcuno si fermava di passaggio lasciava la moglie o la fidanzata tassativamente in auto. Motivo: troppo pericoloso farla conoscere ad amici che non aspettavano altro che tentare di soffiartela sotto il naso.
Questo errore lo commise Ettore, reo di essermi anche debitore di una discreta sommetta persa a poker, aggiunse a questa infamia, l’infelice idea di presentarsi una sera con la neo fidanzata ventenne, Ombretta. Sicuramente voleva fare un figurone con gli amici per la splendida creatura che lo accompagnava. Il particolare che colpiva di più erano i capelli, rossi, lunghi sulla schiena e ricci, incorniciavano un visino stupendo dall’incarnato pallido con qualche efelide. Il corpo minuto, gambe perfette messe in risalto da una minigonna non vertiginosa. Da una nutrita serie di domande dall’apparenza innocente, riuscii a sapere dove abitava e dove lavorava, sicuramente Ettore si accorse che tutti gli amici se la stavano mangiando e che la fanciulla era lieta di avere così tanti ammiratori. Interruppe la sua visita al bar velocemente.
Le informazioni raccolte ed un breve appostamento mi permisero di passare“casualmente”quando Ombretta uscì dall’ufficio in Via Primaticcio, le offrii un passaggio e un aperitivo e quando la lasciai sotto casa le chiesi il numero di telefono. Mi domandò perché lo volessi, inventai una scusa così cretina che rise e me lo diede. Le prime telefonate erano conversazioni banali, poi dato che il prode Ettore viaggiava per l’italia come rappresentante ed era spesso lontano da Milano per intere settimane, la invitai a cena. Accettò dopo una mia leggera insistenza. Era fine settembre, ma il clima era decisamente ancora estivo, da jeans e maglietta, quando la vidi uscire dal portone di casa fui lieto di vederla con la gonna, poteva significare due cose: o non si aspettava assolutamente che ci provassi o se lo aspettava e si era messa comoda, l’importante era che non indossasse pantaloni. Il ristorante era sul Ticino a Vigevano, tranquillo e romantico con un comodo piazzale poco distante con vista sul fiume e chiaro di luna. Durante la cena il mio corteggiamento fu esplicito, quanto il suo gradimento, quindi come da copione usciti spostai la Flavia coupè con sedile in pelle naturale, di quel breve tratto per parcheggiarmi dove avevo previsto. Dopo pochi minuti le nostre lingue già combattevano reciprocamente e la sua voracità nel mordermi le labbra mi provocò un’immediata erezione, la feci sdraiare appoggiandosi tra me ed il volante ed iniziai ad accarezzarle il seno sotto la maglietta e senza reggiseno. Quando la mia mano scese e si insinuò sotto la gonna sfiorandole l’interno delle cosce la bloccò accavallando le gambe ed impedendomi di proseguire. Il mio sesso premeva sul suo fianco ed i suoi baci sempre più aggressivi, finché aprì le gambe e mi lasciò arrivare alla meta. Lle chiesi se fosse dello stesso colore dei capelli, rise sfilandosi gli slip e accendendo un attimo la luce sotto lo specchietto retrovisore. Era rossa. Dopo una lunga manipolazione con un contorsionismo assurdo arrivai con la bocca sul suo sesso, era aspro e sugoso. Mi imprigionò la testa serrando le gambe con una violenza tale, per non farmi smettere che credetti di soffocare. Farla venire in fretta era dovuto più ad una mia necessità di respirare che al piacere di sentirla godere. Quando venne mi prese la testa fra le mani e la mosse freneticamente strofinando il suo sesso spalancato sulla mia bocca, sul mento, sul naso e urlò il suo piacere come se la stessi ammazzando. Senza una pausa riprese a baciarmi e leccarmi il viso, mentre facevo scendere i ribaltabili e mi sdraiavo su di lei facendole sentire tutta la mia voglia ancora rinchiusa nei jeans. Ero senza fiato travolto da quella furia rossa che mi aveva attanagliato con le gambe sulla schiena e si sfregava come una gatta sulla mia patta, pensai che finalmente fosse giunto il momento di liberare il mio sesso dalla claustrofobica costrizione. Appena ci riuscii e tentai di infilarlo dove meritava, la belva rossa chiuse le gambe di colpo, mi piantò le unghie nel petto e mi morsicò un labbro. Rimasi basito e quasi persi l’erezione per lo spavento ed il dolore. L’unica cosa che riuscii a pensare fu : sono rovinato, questa mi denuncia per tentata violenza carnale. Sbagliavo di grosso, perché subito riprese a mugolare, a baciarmi e sfregarsi il mio povero sesso tra i suoi peli rossi. Come riprovai ad introdurlo, stessa scena di prima, pugni, ginocchiate, graffiate. Mi bloccavo e lei mi riprendeva e mi tirava verso di sé. Al terzo tentativo mi disse : non fermarti, mi piace farmi prendere con la forza.
Ero così incazzato che veramente la presi con la forza, bloccandole le mani e penetrandola con decisione, come fui dentro di lei, perse ogni forza ed ogni tentativo di ribellione venendo con grida e singhiozzi assurdi. Si riprese subito e piantandomi le unghie nella schiena e nei fianchi accompagnava i colpi del mio sesso dentro il suo. Forse per il male che mi facevano le sue unghie che graffiavano a sangue o forse per la situazione decisamente sconvolgente non riuscivo a venire, mentre lei infilava un orgasmo dietro l’altro, stavo per rinunciare quando mi disse: “basta ti prego vienimi in bocca”. Vederla mentre si strizzava i capezzoli con forza ed estraeva la lingua come un’ossessa mi fece impazzire e in pochi attimi le venni in bocca sui seni e sul viso. Dovetti buttar via la Fred Perry gialla perché le strisciate di sangue sulla mia schiena l’avevano conciata irrimediabilmente. La seconda piacevole esperienza con una rossa naturale confermò la mia impressione che siano veramente delle donne con una sessualità particolare.

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