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giovedì 9 febbraio 2012




Una fuga da Milano

Pensavo che la fine della mia storia con Nicoletta mi avrebbe lasciato stupito e amareggiato: mi meravigliai che invece l’unica sensazione che provavo fosse la più totale indifferenza. Lo stesso stato d’animo di quando avevo chiuso con Marcella, anzi la fine del rapporto con Nico mi aveva addirittura portato un senso di liberazione. Voltavo ancora una volta pagina ed ero curioso di conoscere cosa mi avrebbe riservato il destino all’età di quarantasei anni e con un corposo e ingombrante bagaglio di storie d’amore e di sesso. Era giugno, decisi di prendermi qualche giorno di vacanza e approfittarne per dare una controllata alla casa in montagna. La famiglia, alla quale lo affittavo da anni, l‘aveva lasciata libera e non avrebbe rinnovato il contratto. Non tornavo ormai da qualche anno in quel paesino sopra Bergamo, dove ero quasi cresciuto per un’infinità di estati dopo la scuola. Mi fece piacere trovare tutto immutato e in ordine, e salii a occupare quella che era sempre stata la mia cameretta da ragazzino. Il paese non arrivava a cinquecento abitanti e praticamente li conoscevo tutti. Nel periodo estivo si popolava di villeggianti, in buona parte milanesi e quasi mai ragazzi o ragazze del paese si sforzavano di legare con noi. Era un vero peccato perché con almeno tre ragazzine locali avrei “approfondito la conoscenza” con vero piacere. Ricordavo ancora i loro nomi e soprattutto i loro corpi che allora avevano allietato parecchie mie solitarie fantasie notturne.  Graziella, la più minuta delle tre e sicuramente la più chiacchierata: portava minigonne vertiginose e i pettegolezzi raccontavano che a sedici anni si fosse già fatta tutti i ragazzi del paese. Era l’unica che desse un po’ di confidenza a noi “forestieri” al punto che una sera la beccai, quindicenne, dietro al lavatoio, inginocchiata davanti al milanesissimo Enrico, tutta intenta a fornire prova della sua abilità con la bocca. Al chiaro di luna i suoi occhi s’incrociarono con i miei e con un misto di sorriso e preghiera mi chiesero di tenere per me quel segreto. A diciotto anni si diceva si facesse scopare dal postino, quarantenne e sposato. A venti si sposò invece lei con un coetaneo, ricco figlio dell’idraulico del paese ed erede dell’ambita professione. Era già in cinta. La sua amica del cuore era la figlia del panettiere, Renata, più alta, più bella e più riservata. Minigonne meno strepitose su due gambe invece veramente strepitose. Incrociandola per strada se la guardavi negli occhi, arrossiva. Anche lei destinata a sposarsi giovanissima con il ragazzo più bello del paese, nonché erede dell’impresa di costruzioni che praticamente aveva il monopolio di quell’attività in loco. L’ultima del trio, Lidia era il mio tormento. La più misteriosa. Assidua frequentatrice della chiesa, alta, un fisico forse leggermente androgino, che mi era capitato di vedere in costume da bagno al fiume, lasciandomi senza fiato. La bellezza e la perfezione di una statua di un atleta. Gonne sotto il ginocchio e a diciassette anni già fidanzata in casa con Pino, ventitreenne, professione: boscaiolo, taglialegna. Molto più basso di lei, decisamente bruttino e già allora buon cliente dell’osteria. Osteria nella quale lo trovai, cinquantenne, anche la sera del mio arrivo, mi salutò in un modo quasi cordiale. Ero entrato per cenare ed ero l’unico cliente che poteva, un mercoledì sera alle ventidue, chiedere di mangiare qualcosa e Dante esperto fungarolo locale, dopo avermi portato salame e formaggi, si sedette al mio tavolo aprendo una bottiglia di rosso, impaziente di iniziare a spettegolare sui suoi compaesani. Mancavo da tre anni e la mia ultima visita al paesello era stata una toccata e fuga in giornata, quindi un aggiornamento era più che necessario. Prima della fine della bottiglia seppi che Graziella era rimasta vedova, con un figlio di vent’anni e una cospicua eredità, Renata aveva due gemelle di quindici anni, Lidia e Pino non avevano figli. Lo spocchioso vicesindaco era fallito e sul lastrico, Enrico il milanese si era sposato con una ragazza del paese, Delia e dopo qualche anno a Milano ora si era trasferito lì e faceva il pendolare, nella vecchia villa al Poggio si diceva che si tenessero balletti rosa, la figlia vent’enne e tossica di una ricca famiglia milanese era stata relegata nella lussuosa villa per disintossicarsi e l’unico risultato era che beveva come una spugna, sfasciava un’auto la settimana e si faceva scopare dal medico condotto del paese vicino, affetto da nanismo. Graziella, Renata e Lidia da giugno a settembre gestivano, per passare il tempo, il baretto e i campi da bocce della Cooperativa Famigliare. Dopo queste importanti notizie me ne andai a casa e non riuscendo ad addormentarmi mi misi a fare la cosa più terribile che un uomo può fare a quarantasei anni: il bilancio del rapporto con le donne. Alle tre e mezzo arrivai ad una decisione irrevocabile. Mi sarei rivolto ad uno psicoterapeuta per farmi aiutare a capire perché tutte le mie compagne fossero state sempre molto più giovani di me, come mai con quasi ognuna di loro il sesso era una sempre una ricerca condivisa e illimitata di trasgressione e soprattutto perché pur avendole amate tutte non riuscivo mai a provare tristezza quando una storia finiva.



L’analisi comportamentale

Come capita spesso mi svegliai la mattina dopo con la soluzione ben chiara in mente. Non potendo cercare uno psicoanalista sulle pagine gialle mi ricordai di Giovanna. Cognata di un caro amico poiché moglie del catastrofico di lui fratello. L’avevo conosciuta due anni prima in agosto. Avevamo passato l’intero mese in Corsica con una numerosissima compagnia di amici facendo campeggio libero al mare in una zona stupenda quanto apparentemente irraggiungibile. Era stata una vacanza bellissima, tende, roulotte, camper, via i vestiti, stavamo perennemente in costume e spesso anche senza quello. Naturismo serio, nulla di trasgressivo. Giovanna era col marito, pur essendo separata da lui ormai da anni, avevano una canadese e facevano vita da selvaggi, lei romagnola buongustaia, aveva deciso di attenersi per un mese ad una dieta vegana, lui continuava con un’alimentazione liquida a base alcolica. A parte l’impressione che Giovanna poteva dare in quell’occasione era una quarantenne affermata psicanalista, freudiana. Ufficialmente la loro separazione era dovuta al lavoro di lui, ingegnere che lavorava su piattaforme petrolifere nei posti più assurdi del globo, era a casa solo qualche giorno l’anno. Ufficiosamente lui aveva numerose altre famiglie e figli sparsi nei vari luoghi di lavoro. Giovanna era un tipo, forse anche bella, passava le giornate leggendo montagne di libri, perennemente al sole e anche quando tutti ce ne stavamo nudi sulla sabbia o in acqua lei non toglieva mai un vecchio bikini, che probabilmente aveva acquistato quando era una ragazzina, non aveva più un colore definito ed era almeno di un paio di taglie più piccolo del necessario. Si era creata una complice simpatia fra di noi perché aveva scoperto che avevo del fumo e alla sera mi isolavo su qualche roccia per una fumatina. Era l’unica della compagnia che non disapprovava quella abitudine, anzi la condivideva, trattenendosi fin troppo a lungo il mio spinello. Non parlavamo molto, anzi ero solo io che la interrogavo sul suo lavoro. Non le dispiaceva parlarne e mi spiegò molto della meccanica delle sedute di analisi. La rintracciai al telefono verso mezzogiorno, si ricordava ancora di me e con la massima serietà le chiesi un colloquio professionale a pagamento. Rise, mi mandò a quel paese spiegandomi che non era possibile perché ci conoscevamo troppo e non avrebbe mai potuto prendermi in terapia. Mi disse che sarebbe stato più utile una chiacchierata informale e che venerdì sera avrei potuto invitarla a cena e spiegarle che problemi avevo. Se lo avesse ritenuto necessario poi mi avrebbe presentato a qualche collega di cui si fidava conosceva. Interruppi la mia breve vacanza al paesello non senza essere prima passato a dare un’occhiata alla Cooperativa con la speranza e la curiosità di constatare se e quanto fossero cambiate le tre fanciulle che non vedevo da sei anni.  C’era solo Graziella che metteva fuori dei tavolini, era praticamente immutata, solo qualche ruga che non le stava neanche male, stesso corpo esile e immancabile minigonna di jeans, però moderata, non inguinale. Più adatta ad una vedovella che sembrava aver metabolizzato bene il lutto. Mi riconobbe e accolse con un sorriso, addirittura si avvicinò e mi baciò sulle guance. Forse era cambiato qualcosa nella mentalità locale. Le porsi le condoglianze, anche se in ritardo di tre anni, mi fece un caffè e come se ci fossimo visti il giorno prima ci sedemmo a chiacchierare del paese, più che altro mi fece nuovi pettegolezzi.  Era abbronzatissima e mi spiegò che da anni ai primi di giugno con Lidia, Renata e le due ragazzine andavano due settimane al mare. Le dissi che la trovavo in forma smagliante, sorrise rispondendo che ci voleva proprio un milanese per essere galante e che non era più abituata a ricevere complimenti da un uomo. Ci salutammo con l’impegno che sabato sera sarei tornato per fermarmi una settimana e andarla a trovare tutte le sere.
Venerdì sera passai all’indirizzo dello studio che mi aveva dato Giovanna e l’attesi, riflettendo sugli appunti che dal giorno prima avevo preso su tutto quello che avrei voluto chiederle e farmi spiegare.  Di sicuro la donna che si avvicinava alla mia auto, in un tailleur di lino coloniale su un top bianco e su un’abbronzatura stupenda non poteva assolutamente ricordarmi la Giovanna ruspante che avevo conosciuto in vacanza. Avevo prenotato in una trattoria di Assago dove Mario il proprietario mi conosceva e non aveva problemi se a fine cena mi facevo una cannetta. Avrei voluto farmela subito per allentare la tensione, dovevo “confessarmi” e non era semplice iniziare. Alle undici ormai sapeva tutto di me. I miei sentimenti, i miei giochi, le mie più intime pulsioni, persino i nomi dei locali di scambisti o gli indirizzi delle vie frequentate dai voyeur. Quando avevo raccontato alcuni particolari degli incontri che avevo fatto con Bianca, Marcella o Nico mi era sembrato che Giovanna fosse arrossita. Ero accaldato, avevo mangiato pochissimo, al contrario lei mi aveva ascoltato attenta, ma senza rinunciare alla cena e a diversi parecchi bicchieri di vino. Ci fu un silenzio di qualche minuto, poi mi chiese:” la tua vita ti fa soffrire? Hai ansie o disturbi del sonno?” risposi immediatamente di no. E lei concluse così: “non vedo nessun motivo per il quale tu debba entrare in analisi, sai quello che vuoi, ti sai analizzare da solo e convivi piuttosto bene col tuo stile di vita. Se un giorno la vita che fai dovesse farti star male, potresti pensarci, ma ora non è proprio il caso, l’analisi è una cura, un percorso per chi sta male, non è una medicina preventiva.” Mi rilassai e finalmente riuscii a respirare normalmente, e le chiesi se le andava di fumare. Non si stupì più di tanto e disse:” sì, ora devo chiederti io una consulenza”. Pensavo ad una domanda che riguardasse il mio lavoro invece continuò così.” Ti va di parlarmi ancora delle tue esperienze particolari? È un fenomeno che conosco poco dal punto di vista pratico e ho più di una paziente che ha queste fantasie. Potrebbe aiutarmi nel mio lavoro”. Parlai ancora io per più di un ‘ora, rispondendo anche a domande sui clubs di scambisti, argomento che le interessava particolarmente e su cosa si prova in certe situazioni. Poi aggiunse: “pensi che potrei entrare in uno di quei locali senza essere obbligata a partecipare a “giochi ?” Mi spiazzò completamente. Ero confuso, indeciso se considerare la domanda una palese provocazione o veramente un interesse professionale. Mi limitai a rispondere:” non è normale che una donna entri da sola in un club per coppie, dovresti farti accompagnare da un uomo”. Silenzio. “Non è che una volta mi accompagneresti?” Forse me l’aspettavo e la mia risposta era pronta. Feci finta di pensarci e le risposi.” Perché non ci andiamo ora? Siamo vicino a Binasco e lì c’è un locale che conosco bene.”



In auto volle rassicurazioni di non rischiare di essere coinvolta suo malgrado in qualche situazione particolare. Le spiegai che nel caso di qualche proposta sarebbe bastato rispondere di no: poteva girare nel locale, guardare, sempre che qualcuno non le avesse detto di non gradirlo. Alla una eravamo già i nel locale e al venerdì, come abitudine, era affollato di coppie, di tutte le età. Dove ci eravamo seduti era praticamente un normalissimo locale,luci basse, tavolini, poltroncine e divanetti, un piccola pista dove un paio di coppie ballavano piuttosto sensualmente. Portai coca e rhum a Giovanna, che si era accesa una sigaretta e fumava nervosamente. Dopo pochi minuti la musica tacque e si sentì come un suono di un campanello. Poi la musica riprese e ovviamente Giovanna mi chiese cosa fosse successo. Era il segnale che il locale chiudeva l’ingresso e i clienti erano liberi di “giocare”. L’ambiente si animò subito: due donne piuttosto carine si misero a ballare abbracciate, iniziando quasi subito a baciarsi e toccarsi, altre coppie ballavano palpeggiandosi platealmente, diverse coppie si alzarono dirigendosi verso il corridoi che portava ai separè, quelle che rimasero lì come noi cercavano di chiacchierare fra di loro, toccai un braccio a Giovanna che scattò quasi spaventata, risi e le chiesi se volesse ballare per togliersi dall’impaccio di ricevere proposte da una coppia che la fissava da un po’. Accettò con un sorriso tirato e mentre ballavamo la sentii rigida come un albero. Le chiesi se fosse tesa e preferisse che ce ne andassimo. Si scusò, dicendo che effettivamente era emozionata, la strinsi aderendo al suo corpo e la sentii rilassarsi. Ballando mi comportai né più né meno di come avrei fatto con una donna che corteggiavo. Ritornammo a sederci su un divanetto isolato, alle due ragazze che ballavano si era aggiunto un ragazzo che le abbracciava entrambe, baciandole a turno e alzando la gonna ad una di loro fino scoprirla fino ai fianchi. La mano dell’altra si insinuò subito nello slip dell’amica, mentre questa portando una mano dietro riusciva a far scendere la cerniera, infilarsi nei pantaloni del ragazzo e iniziare a masturbarlo. Il proprietario del locale abbassò ancora di più le luci e nei divanetti come il nostro si capiva nella penombra che quasi tutte le coppie rimaste si stavano masturbando ammirando i ballerini. In pista sotto un piccolo spot i tre erano ormai lanciati e le due ragazze in ginocchio si contendevano con la bocca il sesso generosissimo del ragazzo. Faceva caldo e Giovanna si alzò di scatto, feci altrettanto credendo che la serata per lei fosse finita, invece si tolse la giacca rimanendo con la canottiera bianca e non mi sfuggi che avesse i capezzoli induriti. Le misi una mano sulla spalla e le chiesi se volesse fare un giro del locale. Spostando una tenda di bambù feci sbirciare dentro a Giovanna nel primo salottino molto piccolo. Solo due coppie nude erano aggrovigliate in un amplesso scatenato. Ci spostammo dopo qualche minuto davanti a un altro separè, la tenda era aperta e Giovanna si arrestò appoggiata allo stipite. Su una poltrona c’era un uomo vestito elegantemente che si masturbava ammirando probabilmente sua moglie che su un divano di fronte a lui era a gambe aperte con una donna che la leccava mentre lei si occupava del membro di un ragazzo che nudo e in piedi sul divano entrava e usciva dalla sua bocca. Con la mano sulle sue spalle sentivo la pelle di Giovanna sudare ed emanare un piacevole profumo. Quando l’uomo si accorse di noi si girò verso Giovanna masturbandosi ancor più velocemente. Fu a quel punto che mi chiese di tornare al tavolino per bere qualcosa di fresco. Si sedette e le portai un altro cuba ghiacciato. Sulla pista erano rimasti solo in due e ormai stavano accoppiandosi senza riserve, mentre l’altra ragazza su una poltroncina al bordo li osservava. Giovanna rimase più di cinque minuti incantata ad osservare, con le gambe accavallate, i movimenti del ragazzo e quel sesso lucido che entrava e usciva, fino a quando con uno scattò uscì venendo abbondantemente sulla schiena della ragazza. Giovanna mi chiese di dare ancora uno sguardo al locale e quando passò davanti a me sotto la luce bar notai che aveva una macchia scura dietro sulla gonna all’altezza del sedere. Alla fine del corridoio si apriva una saletta rotonda da dove giungevano gemiti più o meno soffocati: Giovanna si fermò senza entrare, io dietro di lei, guardavo da sopra la sua spalla godendomi il suo profumo. Lo spettacolo era degno di un film porno, tre coppie giovani carine si divertivano con ogni possibile posizione o fantasia, una ragazza si accorse di noi e si avvicinò chiedendoci se volessimo partecipare. 



Abbracciai Giovanna e risposi:” grazie a mia moglie piace solo guardare, se non vi spiace.” Si allontanò sorridendo, mentre mi accorgevo che una erezione irrefrenabile mi stava imbarazzando perché ero appoggiato al sedere di Giovanna. Se ne accorse di sicuro e non si mosse. Le sussurrai a un orecchio: “ hai una macchia sulla gonna e credo di sapere perché.” Ebbe un fremito ma la strinsi ancora più a me, le passai una mano davanti alzando il top e raggiungendo un seno le accarezzai un capezzolo, poi scesi alla cintura della gonna cercando di entrare verso il suo sesso. Mi facilitò l’impresa tirando leggermente dentro il ventre. Raggiunsi il suo sesso e la conferma della causa della macchia sulla gonna. Venne subito a lungo, piegandosi sulle ginocchia per permettere alle mie dita dopo averle torturato il clitoride dando inizio all’orgasmo di entrare in lei, in fondo. Uscimmo quasi di corsa e nel parcheggio appoggiati all’auto finalmente ci togliemmo tutte le voglie che quella strana serata ci aveva creato. 

3 commenti:

  1. Bellissimo racconto... Peccato non poter ammirare Giovanna, che dev'essere una ragazza splendida...

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    1. ... un peccato anche per me .. perché da quella sera non l'ho più vista ne sentita ...

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  2. Ho letto con estremo interesse questi due pezzi , dato che mi avevi prannunciato privatamente che rappresentavano una svolta epocale ...
    In effetti sono molto ben scritti , senza troppi particolari " espliciti " , che possono sortire effetti indesiderati in persone " romantiche " come me !
    Credo di poter affermare , Luciano , che é questo lo stile che preferisco : ci vedo molte piú allusioni e risvolti di quando ci illustri pedissequamente gli aspetti " fisici " del tuo passato .
    Secondo me é proprio questa la via da seguire , come se si trattasse di un film scabroso , ma non-vietato ai minori .
    Cmq la mia opinione é molto personale e forse non corrisponde a quella della maggioranza dei tuoi lettori ...
    BAACIO !!!

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